Bari e l'accoglienza, l'intervista a Monsignor Satriano: «La lezione di San Nicola: radici nel mare, niente muri»

Bari e l'accoglienza, l'intervista a Monsignor Satriano: «La lezione di San Nicola: radici nel mare, niente muri»
​Bari e l'accoglienza, l'intervista a Monsignor Satriano: «La lezione di San Nicola: radici nel mare, niente muri»
di Matteo CAIONE
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Venerdì 20 Ottobre 2023, 07:12

Arcivescovo Giuseppe Satriano, don Tonino Bello parlava di “Puglia arca di pace e non arco di guerra”. E Bari, città di San Nicola, epicentro e cuore di questa porta d’Europa, ha una vocazione particolare come comunità di dialogo, pace, ecumenismo, incontro tra culture. Quale messaggio e quale esempio può arrivare al mondo?
«Da sempre Bari è un luogo aperto, che alla logica del muro preferisce quella del molo. Il mare è troppo grande per essere chiuso dietro un cancello o per arginarlo alzando barricate. La storia di una città come la nostra è possibile interpretarla solo a partire dal mare. È dal mare, infatti, che giunge a Bari il corpo di San Nicola, dono che cambierà la storia e la vita dei baresi. Abbassare i muri che ci separano e costruire moli, spazi di approdo sui quali sia possibile incontrarsi: credo sia questo uno spunto interessante su cui riflettere. Ogni porto è anche porta. Imparare ad abitare spazi vuoti, liberi dall’ipertrofia dell’io, spazi umili e non prepotenti, è la sfida che siamo chiamati a vivere e a portare al cuore di una cultura occidentale indifferente a Dio e all’uomo». 
Guardare al futuro vuol dire anche saper scrutare il passato, riconoscere la profondità e la solidità delle radici, valorizzare il retaggio storico e valoriale. Che futuro spera e si immagina per Bari?
«Le nostre radici attingono al Mediterraneo. Rivalutare la nostra vocazione mediterranea e ridurre le distanze tra le sponde del Mare Nostrum è la sfida che da sempre provoca Bari. Basta interpellare la storia per constatare una tradizione di accoglienza e di tolleranza da secoli radicata nelle popolazioni che abitano le nostre coste. A tal proposito vorrei richiamare, negli anni novanta, l’accoglienza degli albanesi in Puglia. Nel porto di Bari vivemmo un autentico momento di cittadinanza attiva nei confronti di oltre 20mila fratelli albanesi che approdarono al molo Carboni: una sorta di icona di fine novecento. Oggi questa storia di tolleranza e accoglienza e di umanità, purtroppo, è a rischio».
Che ruolo ha e può avere la Chiesa di Bari nello sviluppo di questa terra?
«Come Chiese del Mediterraneo, siamo chiamati a edificare ciò che affermava don Tonino Bello, ovvero una cultura della convivialità delle differenze, l’avventura del vivere insieme senza paura dell’altro. Solo scelte educative poste in tal senso potranno incoraggiare politiche costruttive di accoglienza. Sin dall’antichità, l’ospitalità riservata allo straniero era considerata sacra. È proprio vero, ci si sente accolti da uno sguardo umile e ci si apre all’altro grazie a un ascolto attento che diviene reciproca ospitalità».
È una terra piena di risorse ma attraversata ancora dalle disuguaglianze. Si cresce puntando su progetti, infrastrutture e servizi, ma soprattutto dando priorità alle persone, ai sogni, alla capacità di essere e fare comunità. Cosa si può fare?
«La sfida è complessa, per questo nessuno la può affrontare da solo. L’unica strada da percorrere è quella di stringere alleanze. Esse non hanno e non danno futuro se si basano su interessi economici di parte o logiche lobbistiche. C’è bisogno di tutti per costruire un noi sempre più ampio e più forte, animato da una visione sana e lungimirante del bene comune. In questo tempo di naufragi esistenziali viviamo l’urgenza di cammini condivisi, abitati da un senso di autentica corresponsabilità. Abbiamo sottoscritto il “Protocollo B.A.R.I. – Baricentro per l’Attuazione di una Rete d’Inclusione”: si formalizza la costituzione di una rete territoriale, che ha come finalità la promozione della città di Bari. Potremmo definirla “prove di futuro”, “ricerca di speranza”»

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