Rinascita Refugees, la squadra di soli migranti (o quasi) che ha già vinto tre campionati di calcio in Puglia. «Nel mio spogliatoio undici nazionalità»

Rinascita Refugees, la squadra di soli migranti (o quasi) che ha già vinto tre campionati di calcio in Puglia. «Nel mio spogliatoio undici nazionalità»
di Giuseppe ANDRIANI
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Venerdì 22 Settembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:49

Seydou e Moussa in “Io, capitano”, il capolavoro di Matteo Garrone candidato all’Oscar, indossano le magliette, spesso sbiadite e dal gusto vintage, di Barcellona, Borussia Dortmund, Siviglia, Manchester United. La camiseta del Barca diventa tuta del Real Madrid. Il calcio, sulla pelle. Del resto la storia che Garrone racconta con tutta la propria abilità, trae ispirazione da fatti realmente accaduti. Moussa è il capitano, perché aveva quel ruolo nell’Aduana Football, la squadra di Nkrakwanta, in Serie B ghanese. Che sia calcio o hip hop, il sogno è firmare un autografo a un bianco. 

La storia

A Carmiano, provincia di Lecce, Sakho e Kone, invece non firmano autografi ma hanno vinto tre campionati di fila, nel calcio dei bianchi. E indossano la propria maglietta, tinte blu. È quella della Rinascita Refugees, una squadra di promozione pugliese che punta al calcio che conta ed è composta quasi esclusivamente da migranti e rifugiati. Il presidente Antonio Palma è anche il presidente della cooperativa sociale Rinascita, che si occupa dell’accoglienza dei migranti. Ieri la squadra, allenata da Hassane Niang Baye, mediatore culturale nei progetti della cooperativa, ha vinto contro il Leverano in Coppa. E domenica ha battuto il Galatina. Al campo di allenamento, alla periferia di Carmiano, si suda tutti i pomeriggi. Qui il riscaldamento inizia alle 18.30, perché i ragazzi prima lavorano. E il calcio sembra solo un contorno. La storia è di quelle lontane dai post patinati dei protagonisti della Serie A. Mentre ci si allena è possibile persino sentire il belato delle pecore del campo accanto. Eppure questi ragazzi sono forti. Non solo perché hanno tutti alle spalle un passato spesso difficile e in Salento sono rinati, ma anche perché hanno vinto tre campionati di fila. Dalla Terza Categoria alla Promozione. E qualcuno, quando il presidente si distrae, si lascia andare: “Ma ora vogliamo andare almeno in Serie D”. In quella parola, “almeno”, è racchiuso un sogno. Perché del resto dalla Rinascita Refugees è partito anche Moustapha Elhadji Cissé, baby d’oro dell’Atalanta under 23, che l’anno scorso ha segnato un gol in Serie A con la Dea.
A Carmiano, dove l’accoglienza è un valore più che un problema, le magliette della Rinascita sono tutt’altro che sbiadite. «Questo progetto è iniziato nel 2019 - racconta Palma -, è importante perché permette ai ragazzi di conoscere il territorio, di integrarsi e di poter avere una vita qui dopo la fuoriuscita dai progetti della nostra cooperativa. Il calcio è solo una parte di questa storia». E poi il calcio, qui, segue altre regole, percorre altri sentieri. Il presidente, senza il registratore davanti, si lascia scappare che in fondo una prima differenza con i club del calcio “vero” è il rapporto con l’allenatore. Senza Hassane «questa squadra non esisterebbe». «La nostra speranza è che i ragazzi possano trovare accoglienza e integrazione. Molti di loro vengono dall’Africa, tanti sono tecnicamente dotati e soprattutto sognano di fare calcio ad alti livelli», spiega Vincenzo Nobile, il direttore sportivo del club salentino. Il tecnico Niang Baye racconta il «piacere di allenare questi giovani». «Anche se devo parlare in troppe lingue», dice con il sorriso sulle labbra e il fischietto attaccato al collo. Ha vinto il premio intitolato alla memoria di Emiliano Mondonico, ma anche per lui il calcio viene dopo: «Questi ragazzi si vogliono misurare con gli altri e il calcio ci permette di farlo. Qui abbiamo undici nazioni in uno spogliatoio, ed è bellissimo». E poi ha vinto. «Partendo con i piedi per terra, però», spiega. 
Eppure durante l’allenamento diventa importante anche una palla che - forse - non è uscita in rimessa laterale.

Perché quando l’arbitro (o il mister) fischia, tutti vogliono vincere. Come Soumalia Kone, centrocampista cuore e grinta, dai piedi educati. Un numero otto, falegname a Leverano, in Italia da sette anni. Anche lui è arrivato con un barcone. Juventino, quando parla della squadra ci tiene a precisare: «Loro sono una seconda famiglia per me. Stiamo bene insieme, ci divertiamo. E quest’anno giochiamo in Promozione, ci divertiremo». O come Abdoulaye Sakho, il capitano. Lui è in Italia da dieci anni. E usa anche lui la parola famiglia: «Dopo una giornata di lavoro (fa il sarto e vive a Castromediano, alle porte di Lecce) vengo qui per allenarmi e mi sento a casa. Spariscono tutti i problemi, ci divertiamo, il mister è eccezionale. Speriamo adesso di arrivare dove vogliamo». Le loro maglie sono meno sbiadite di quelle del film di Garrone ma la storia è quella. Il calcio, dall’Africa al Salento, unisce. Consente di parlare la stessa lingua in uno spogliatoio dove sono racchiuse undici nazioni. E permette a questi ragazzi di sognare un futuro migliore. Tanto che quella casacca sul blu, che quasi richiama i colori degli Charlotte Hornets di Larry Johnson (nota squadra dell’Nba degli anni ‘90 ripescata dal film), vista da qui sembra persino più bella di quella del Barcellona che Moussa indossa durante il viaggio. È solo questione di punti di vista.

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