Giannola: «La mobilità al Sud leva decisiva dello sviluppo»

Giannola: «La mobilità al Sud leva decisiva dello sviluppo»
di Alessandra LUPO
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Domenica 11 Ottobre 2015, 10:08 - Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 12:44
Adriano Giannola, presidente di Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, venerdì scorso durante l’incontro al Rotary di Lecce ha firmato la petizione sul Frecciarossa.



Dottor Giannola, il motivo della firma?

«Ho firmato perché ritengo che le infrastrutture e i trasporti siano tra gli strumenti fondamentali cui il territorio debba avere accesso per svilupparsi».



La scorsa estate il rapporto Svimez ha dato una scossa al Paese, uno dei capitoli chiave dell’allarme sul sottosviluppo del Sud riguardava proprio le infrastrutture, in che misura queste incidono sui territori?

«Possiamo dire che sul tema delle infrastrutture il divario e l’indebolimento della rete nel Mezzogiorno sia molto rilevante. Nel rapporto c’era un grafico molto eloquente in cui si rileva il calo continuo degli investimenti che va avanti da metà anni ’90 e vede opere e lavori pubblici al Sud ridursi fino a un quinto. Mentre nel Nord Italia, nonostante la crisi, l’investimento regge. Un’assurdità se si pensa che il Meridione, di per sé un’area più complessa, dovrebbe trovare in questo genere di interventi un alleato fondamentale per agevolare economia e imprese. E lo stesso accade per le infrastrutture informatiche come la banda larga. Il tutto penalizza il sistema produttivo».



Il governo ha promesso di rispondere adeguatamente al vostro allarme. Lo sta facendo?

«In termini di intenzioni sì, si è parlato di una taskforce e e credo che il governo quando parla di masterplan intenda mettere mano a progetti non realizzati e iniziative in corso anche se ancora senza un grosso sviluppo. Certo, poi, si rimane interdetti quando una cosa importante come la ferrovia Napoli-Bari, che già 5 anni fa era inserita nelle priorità del paese, ha un timing di 20 anni. Per costruire l’Autostrada del Sole ce ne vellero solo 6, per il canale di Suez 2. La gestazione delle grandi infrastrutture in Italia è di 14 anni, di cui solo 2-3 di cantieri effettivi, il resto del tempo si perde nelle fasi preliminari, tra burocrazia, contenziosi e progettazione inadeguata».



In questo quadro la battaglia sul Frecciarossa diventa di principio. Tuttavia Fs sostiene di non poter accettare aiuti pubblici per garantire la tratta perché il servizio è a mercato...

«Entrare nel sistema dell’alta velocità vuol dire avere garanzie di uno standard qualitativo, nulla di più. Le Ferrovie dello Stato, poi, non possono opporre l’obiezione degli aiuti di Stato perché nel loro contratto pubblico ci sono ingenti risorse che vengono trasferite dallo Stato proprio per garantire il diritto alla mobilità, che è costituzionale. Nulla da ridire sul fatto che la missione della società sia anche fare profitti e chiudere il bilancio in attivo ma ciò non toglie che all'interno di un discorso complessivo ci possano essere investimenti che in maniera lungimirante vengono fatti senza un profitto immediato, magari ce lo avranno tra dieci anni quando quei territori, anche grazie alle ferrovie, saranno in grado di generare altre economie. Ed è prevedibile che realtà come la Puglia e il Salento, che stanno avendo risultati molto lusinghieri, siano il posto adatto dove farlo. Da parte dell’azienda mi sembra più una resistenza per evitare di essere costretti a fare altro che una preoccupazione economica».



Fs ha infatti ammesso di temere richieste analoghe da altri territori...

«Non sono un tecnico ma questa richiesta mi pare più che giustificata da parte del Salento, che grazie al suo ruolo turistico, economico e anche universitario rappresenta una realtà molto più coesa rispetto ad altre realtà del Mezzogiorno. Una realtà su cui scommettere».



Un piccolo tassello in quel ribaltamento della visione Nord-Sud che lei auspica per il Paese?

«L’Italia si trova in una situazione che somiglia alla fine di una guerra mondiale e ne sta uscendo molto male: la forza del secondo paese manifatturiero d’Europa non è più sufficiente a garantire lo sviluppo. E nemmeno le esportazioni. Nella seconda guerra mondiale ci fu una riflessione molto acuta su come rilanciare il Paese e portò al “miracolo economico”, oggi dobbiamo interrogarci su cosa possa ridare dinamismo, anche al di là del recupero meramente finanziario. Allora vi fu una strategia precisa sugli equilibri Nord-Sud, anche in vista dell'ingresso in Europa del 1957. Ma credo che da questo punto di vista, come allora, il Mezzogiorno possa giocare un ruolo di primo piano».



Su cosa potrebbe fare leva per avere un ruolo chiave anche per il resto del Paese?

«Sul suo ruolo per cogliere le opportunità in arrivo dal Mediterraneo, mai così centrale nell’economia europea e internazionale dai tempi della scoperta dell’America. Con l'ingresso sulla scena internazionale di Cina, India e Medioriente i traffici avvengono soprattutto qui e oggi anche grazie a Suez quelle tratte diventano centrali. Peccato che noi cogliamo solo una piccola parte di questi volumi, perché abbiamo porti e retroporti poco attrezzati e una logistica debole, che non è in grado di ospitare l’ingresso e l’uscita dell’Europa da sud. Oggi una nave che entra da Suez percorre il Mediterraneo ed esce a Gibilterra puntando verso Rotterdam o Amburgo, impiega 5 giorni di tempo, ma anche di costi e inquinamento. Se invece entrasse a Taranto o a Gioia Tauro (porti che sarebbero esemplari), ne gioverebbero tutti. Invece Taranto è praticamente chiuso, Gioia Tauro in cassa integrazione e i cinesi sono fuggiti verso il Pireo dove nascerà la ferrovia che porterà fino alla Slovacchia. Il tutto mentre noi non siamo nemmeno in grado di portare un Frecciarossa fino a Lecce».
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