Ex Ilva, il futuro: tempi molto stretti per il dopo-ArcelorMittal

Ex Ilva, il futuro: tempi molto stretti per il dopo-ArcelorMittal
di Domenico PALMIOTTI
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Sabato 13 Gennaio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 14 Gennaio, 11:51

La strada il Governo l’ha tracciata: chiudere con Mittal, “divorzio consensuale” in Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva, tra il privato della multinazionale e il pubblico di Invitalia, e quindi cambiare rotta ed equipaggio. Leggi, per equipaggio, amministratore delegato e manager di prima linea. Ma quanto percorribile sarà questa strada, in quanto tempo sarà attraversata, quali ostacoli si troveranno, quali giri - intesi come mediazioni - bisognerà fare per superarli, non é ancora noto. Dovrebbe essere svelato a giorni. Incontrando giovedì sera i sindacati, i ministri Urso, Fitto, Calderone e Giorgetti e il sottosegretario alla presidenza, Mantovano, si sono dati un timing ristretto perché, nello stato in cui è l’azienda, non c’è più tempo da perdere. Il confronto tra gli staff legali di Mittal e Invitalia, cioè tra i due azionisti, maggioranza e minoranza, va avanti con l’obiettivo di cercare il compromesso migliore, ma la stretta sarà data martedì quando è previsto un incontro ad alto livello. Poi mercoledì l’Esecutivo trarrà le conclusioni e giovedì incontrerà di nuovo i sindacati per dire a che punto si è giunti. 

I sindacati


I sindacati marcano due aspetti: che il Governo ha detto loro che la separazione da Mittal è una scelta definitiva, non soggetta a ripensamenti, e che qualora tra martedì e mercoledì l’intesa sul “divorzio consensuale” non ci fosse ancora o si fosse rivelata difficile da chiudere, magari perché il privato ha alzato le barricate, il Governo vedrà comunque come andare avanti. Gli aspetti da chiarire sono diversi. È accreditata l’ipotesi che il “divorzio consensuale” sia il preludio ad un’amministrazione straordinaria della società, alla quale, proprio perché vi è stata un’intesa a monte, si ricorrerebbe senza strascichi legali e conflitti esplosivi. E si vedrà se davvero l’amministrazione straordinaria sarà il secondo tempo di questo “divorzio consensuale” al quale si vuole arrivare. E nel momento in cui l’amministrazione straordinaria ci fosse, sarà ex novo oppure si userà l’attuale? Premessa: l’amministrazione straordinaria in carica - quella cominciata a gennaio 2015, due anni dopo il commissariamento dell’azienda che fu tolta dal Governo ai Riva, precedenti proprietari e gestori - è proprietaria dei beni ed ha in pancia stabilimenti e impianti. Che ha affittato prima ad ArcelorMittal e poi ad Acciaierie d’Italia. Invece Acciaierie, essendo società affittuaria, non ha nulla di tutto questo ma solo il contratto.

Sarebbe quindi da vedere e studiare la tecnicalità di un’operazione del genere. Ma si potrebbe anche tornare - ed è un’ipotesi non esclusa - all’amministrazione straordinaria che c’è, visto che a suo tempo è stato previsto che, a fronte di inadempienze dell’affittuario, gli impianti possano rientrare a chi li ha concessi.

L'indotto

C’è poi il tema dell’indotto. È già uscito con le ossa rotte dalla prima amministrazione straordinaria, attende ancora di vedere il rientro di circa 150 milioni di crediti, relativi a fatture non pagate, ed è ovvio che una seconda procedura simile lo metterebbe fuori gioco. Probabilmente stavolta per sempre. E allora quali tutele sono possibili? Quali misure di salvaguardia? Imprese e fornitori sono in fibrillazione e ieri anche la Fim Cisl ha sollecitato attenzione su questo versante. Che oggettivamente rischia di essere stritolato. L’occupazione. C’è stata la cassa integrazione straordinaria con la gestione Acciaierie e ci sarà anche con la società allo Stato. Questo è fuor di dubbio. E presumibilmente i numeri non cambieranno: 3.000 sospesi nel gruppo di cui 2.500 a Taranto. La cassa, in continuità con quella del 2023, è già prevista dalla legge di Bilancio del 2024 e ieri il ministro del Lavoro, Calderone, ha dichiarato che «stiamo esaminando tutte le soluzioni possibili partendo dal presupposto della continuità aziendale e del lavoro, tutelando la forza lavoro non solo Taranto ma di tutti gli stabilimenti di Ilva». Ci sarà ancora cassa perché è del tutto evidente che ci vorrà tempo prima che lo Stato, salito sulla tolda di comando, si renda conto della condizione degli impianti, si dia delle priorità, provveda alle cose da fare e trovi le risorse. E questo solo per l’ingresso nell’ex Ilva. Perché poi bisognerà pensare al nuovo piano industriale, a come strutturarlo e alle tempistiche e agli obiettivi da assegnargli. Questo fa parte della risalita dell’azienda che, naturalmente, richiede prima costruzione e poi gestione. Trovando manager, competenze e professionalità. Naturalmente connesso al nuovo piano industriale, sarà anche il tema dell’occupazione. Se si vira verso una fabbrica con forni elettrici, va da se che l’occupazione dovrà scendere e bisognerà capire come affrontare, sotto il profilo sociale, la cura dimagrante. Si è detto che lo Stato non sarà per sempre ma a tempo determinato. Resta però da vedere per quanto. 

Il futuro


Lo sbocco sarà l’arrivo di nuovi privati e il nome che circola con insistenza è quello di Giovanni Arvedi, che era già nella cordata Acciaitalia che nel 2016-2017 gareggiò in competizione con AmInvestCo, dove stavano Mittal e Marcegaglia (quest’ultimo poi si ritirò), ma perse la gara. Arvedi, che tempo addietro ha acquisito Acciai speciali Terni soffiandola proprio a Marcegaglia e che con la sua produzione ha in parte compensato il vuoto di offerta lasciato dallo stabilimento di Taranto, potrebbe dunque essere il nuovo privato dell’ex Ilva. Ma da solo? O insieme ad altri siderurgici che, ipoteticamente, potrebbero essere Gozzi con Duferco, Pasini con Feralpi, Marcegaglia con l’omonima azienda (magari se si riaprisse un discorso sui tubi, visto che Marcegaglia è un trasformatore di acciaio, e a Taranto prima i tubi si producevano)? Si vedrà, anche se si nutrono forti dubbi sul fatto che i siderurgici possano allearsi tra loro. Ma queste sono cose che verranno dopo. Adesso serve concentrarsi sul “divorzio consensuale”. Avverrà? E a che prezzo? E cosa chiederà Mittal?

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