Berlusconi caccia Fitto: «Oltre? No, sei fuori come tutti i traditori»

Berlusconi caccia Fitto: «Oltre? No, sei fuori come tutti i traditori»
di Francesco G. Gioffredi
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Sabato 16 Maggio 2015, 10:22 - Ultimo aggiornamento: 13 Luglio, 23:25

LECCE - Bentornati nel 1994, tra slanci di antico sogno liberale, fantasmi comunisti vagamente fuori tempo massimo e il ruggito di un leader da oltre vent’anni sulla tolda di comando, e che non vuol mollare il timone nemmeno ora, quando c’è da rifondare dalle macerie. Silvio Berlusconi plana su Lecce all’ultimo sorso della sua due giorni pugliese, atterra sul palco del PalaFiere per arringare il popolo azzurro (o quel che ne resta) e per sostenere la candidata alle regionali (l’anti-fittiana Adriana Poli Bortone), ma anche per mettere mano al repertorio classico, come un fiume in piena: il pericolo rosso, la magistratura, il governo Renzi, la stretta fiscale, una «nuova, grande forza moderata, liberale, moderna» per il post-Forza Italia ormai imminente, il tutto con ricca spolverata di battute, aneddoti, ammiccamenti ai ragazzi schierati con t-shirt d’ordinanza sul palco.

Come se il tempo non fosse mai passato, anche se ammaccature e ferite sono vistose sulla corazza: il PalaFiere che si gremisce con fatica (2mila posti a sedere, ma molti buchi nelle ultime file), e poi lo spirito del ribelle Raffaele Fitto - da lustri plenipotenziario delle “cose di centrodestra” in Puglia - che aleggia in sala e asciuga i numeri dei presenti. La polemica di fuoco e fiamme con l’eurodeputato salentino, alla fine, tutto a sé chiama e risucchia. Tanto che l’esordio sul palco di Berlusconi è di tuono: «Qualcuno vuol andare “oltre” (con riferimento alla lista regionale fittiana, ndr), ma per me è andato definitivamente fuori». È l’editto, condito dall’ovazione di un pubblico che fino all’altroieri osannava l’ex ministro salentino.

Tutta la kermesse è una palestra del risentimento nei confronti del re dei dissidenti-ricostruttori. Mai però citato per nome dal padre-padrone forzista.

Ma è il palpito perenne, da cima a fondo. Anche quando l’ex premier - doppio petto blu, camicia anche, verve rilucidata - tuona: «Fuori dalle due grandi famiglie europee di Ppe e Pse non c’è niente per nessuno», pizzicando così Fitto in transizione verso i Conservatori, «e avere in mente un piccolo partitino vuol dire non capire nulla della realtà, ma fare qualcosa solo per la propria ambizione personale e per continuare a svolgere la professione politica, che loro intendono come un modo per fare soldi e carriera, prendendo solo lo stipendio pagato dai contribuenti. Ma la politica non è un mestiere».

Né tantomeno - con altro riferimento alle due ultime vesti fittiane - «funziona chiamarsi lealisti o ricostruttori: chi vota contro il partito che lo ha eletto, è un traditore». Ma del resto, anche l’antipasto zampillava veleno: Gegia (sì, l’attrice salentina celebre negli anni 80-90) che fa battute («Fitto perderà e andrà a fare il tronista a “Uomini e donne”), Federica De Benedetto (giovane vicecoordinatrice regionale di Fi e regista della manifestazione) che raccoglie e rilancia col tormentone «Fitto chi?». In sala larga parte dei 50 candidati al Consiglio regionale e poi i maggiorenti berlusconiani, sia regionali (il coordinatore Fi Luigi Vitali - «persona buona e giusta, in Parlamento lo chiamavamo “Gino il bulldozer”», dirà Berlusconi - e il deputato Francesco Paolo Sisto), che nazionali (Mariarosaria Rossi, Licia Ronzulli, Deborah Bergamini).

Tra applausi e cori si fa spazio sul palco l’ex premier, sottobraccio ad Adriana Poli Bortone: «La conosco da molti anni, è stata mio ottimo ministro del mio primo governo, uno dei miei due migliori. Abbiamo ritenuto di chiederle questo sacrificio, abbiamo fatto un passo indietro per avere un candidato che potesse rappresentare tutto il centrodestra. Ha esperienza, autorevolezza». Polaroid sulla Puglia: «Tanti aspetti non sfruttati. E la regione è al 92esimo posto su 96, in tutta Europa, per pil procapite: una sentenza di condanna assoluta ai 10 anni di governo della sinistra». Ecco, l’ossessione: i comunisti. «Nel ’94, di fronte al rischio che il comunismo si impossessasse del Paese, in molti decidemmo di scendere in campo per evitare che accadesse. Per i comunisti noi cittadini siamo al servizio dello Stato e quando lo Stato decide che vanno tolti i diritti, questo si deve fare. Noi pensiamo il contrario: lo Stato al nostro servizio».

Il «pericolo comunista», «ideologia cinica e crudele», riaffiora più volte, anche quando interviene la Poli e le prime file chiamano il coro - «chi non salta comunista è!» - e lo stesso ex premier saltella sul posto. Ecco allora il continuo invito alla mobilitazione «del popolo dei moderati», guardando a una «forza unica, conservatrice e liberale», con l’impegno «da qui alle politiche, tra due anni e mezzo» a «convincere i nostri amici che sappiamo essere di sinistra a votare e a farlo con intelligenza», spiegando loro che «votare per i piccoli partiti vuol dire non avere maggioranze coese, perché quei partitini non guardano all’interesse del Paese ma solo al particolare interesse dei loro leader». E poi le spezie immancabili: le accuse a Renzi («mai eletto nemmeno deputato, segretario tramite primarie manipolabilissime, al governo con i brogli della sinistra»), la magistratura e i suoi «65 processi contro di me», «la sentenza ignobile per distruggermi e far fuori il leader dell’opposizione», il programma liberale «sempre avuto in mente e mai realizzato per colpa degli alleati» del «meno tasse su famiglia, impresa, lavoro per avere più consumi, produzione, occupazione».

Un programma possibile solo «con un grande soggetto di centrodestra», una forza «leggera, sul modello americano», in grado subito di «indicare, prima del voto, 20 nomi di ministri che godono di stima». Una missione «che parte dalle regionali», alle quali «votare Emiliano sarebbe un atto di masochismo». Corde, in larga parte, pizzicate anche da Adriana Poli Bortone, che interviene tra il primo e il secondo capitolo del discorso berlusconiano. La commozione, il tono vibrante, «sei tu Silvio sempre l’unico presidente», mettendo da parte vecchie ruggini: «Noi siamo l’unico centrodestra, non abbiamo sottosegretari di Renzi o scissionisti ex lealisti», «né per me è stato un sacrificio accettare», nel nome di un comune sentire che passa dalla pulsione «anticomunista» e prosegue con la volontà di conquistare il governo pugliese, e Poli Bortone passa in rapida rassegna falle, pecche, errori del decennio vendoliano. Con l’avvertimento finale: «Il voto utile è a noi, a chi fa gli interessi della propria terra». Cori, “Silvio! Silvio!”, e poi - a chiudere - inno di Forza Italia. Forse una delle ultime volte, prima che il cd possa essere definitivamente archiviato.

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