Quel populismo "moderato" che fa il gioco di Salvini

di Mauro CALISE
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Sabato 21 Novembre 2015, 09:30 - Ultimo aggiornamento: 9 Novembre, 10:30
Ha fatto bene Berlusconi a unirsi – in posizione subordinata – al raduno leghista di Bologna? O era meglio, come molti suggerivano, che se ne fosse rimasto a casa? Certo, il risultato numerico non è stato dei più esaltanti. In una piazza poco gremita, la presenza di Forza Italia è risultata smaccatamente minoritaria. E i fischi e i segnali di impazienza che hanno scandito l’intervento dell’ex-Cavaliere sono stati la prova lampante che la sua stella, ormai, è tramontata. Questo, però, lo sapevamo già. Perché, allora, Berlusconi si è auto-inflitto questa umiliazione? Cosa voleva, a cosa mirava? È probabile che la pressione decisiva l’abbia avuta quella parte del cerchio magico terrorizzata all’idea di scomparire del tutto dalla scena politica. La controffensiva di Salvini come leader del centrodestra ha ormai sfondato su tutta la linea.



A parte i dati dei sondaggi, sempre più impietosamente a suo favore, il leader leghista sta vincendo sul piano strategico che era, fino a pochi anni fa, un monopolio di Berlusconi: l’immagine di leader. Si può dire che il fondatore di Forza Italia abbia praticamente inventato, per l’Italia, il ruolo stesso di leader politico come capo indiscusso di un partito. Fondendo personalità e organizzazione attraverso il partito personale.



Subito imitato da uno stuolo di partitini, che non riuscivano ad insidiarlo. Fino a quando non è arrivato Grillo sulla scena, seguito a ruota da Renzi. Col risultato che, da due anni e mezzo, in Italia anche i partiti maggiori sono ridotti a una protesi del leader.

Salvini è su questo stesso trend. E, non pago di essersi appropriato del marchio e del messaggio della Lega, sta cercando di annettersi anche i resti, malconci ma ancora consistenti, di quel centrodestra che era – solo pochi anni fa – il baricentro elettorale italiano. Berlusconi ha provato a fermarlo, ma non ne ha più le energie e la convinzione. Tenere in piedi da solo il vessillo del centrodestra moderato, contro l’estremismo leghista, è uno schema che funzionava in passato. Ma oggi che Renzi sta facendo, anche grazie al supporto di Alfano, da calamita all’area centrista, è diventato praticamente impossibile. Meglio provare a sopravvivere aggregandosi al carro populista di un giovane rampante e accattivante. Con l’aura – almeno fino a oggi – di vincente.



Sono questi, infatti, gli ingredienti che, fin dai suoi esordi, l’ex-cavaliere ha considerato essenziali per aspirare alla vittoria. Un ottimismo sfrontato – ancora ieri, non ha esitato a puntare l’asticella direttamente al 40%. E un altrettanto incondizionato rilancio delle promesse elettorali. Con una versione di populismo ammiccante e governante, molto diversa da quella antisistema foraggiata da Salvini e Grillo. Vale a dire, cercando di attirare i consensi puntando sull’affabulazione e l’illusione piuttosto che sulla disperazione. Non è un caso che lo stesso leader leghista abbia cercato di moderare i toni, dicendo che a Bologna non c’era una piazza «di rancore e di odio».



Insomma, a voler essere ottimisti, si può sperare che, scegliendo di tenere in piedi l’alleanza con la Lega ancorché come comprimario, Berlusconi stia provando a iniettare moderatismo nel populismo. È un mestiere che conosce bene, visto che gli ha consentito di tenere, per vent’anni, in mano il paese. Ed è una funzione, ormai, strategica per la stessa sopravvivenza della democrazia rappresentativa. Quanti si illudono di poter fare a meno, esorcizzandolo o condannandolo, del demone populista si rifiutano di guardare in faccia la realtà della politica contemporanea. Che è ormai, con la crisi dei partiti, priva dei vecchi canali di intermediazione del consenso.



Ed è costretta a ricorrere, per tenere in piedi la baracca, alle sirene del populismo, edulcorate e – possibilmente – domate a fin di bene. Cioè, ai fini della governabilità.

Più, infatti, le ali estreme si avvicinano alla possibilità di vittoria, più sono spinte ad attenuare i toni più bellicosi. Consapevoli che, una volta entrate nella cabina di regia, bisognerà cominciare a fare quadrare i conti. Del bilancio ma anche della convivenza civile. Lo ha fatto Tsipras in Grecia, lo sta facendo Marine Le Pen in Francia. E a Salvini non può che fare comodo che, quando fa la faccia feroce, ci sia al suo fianco – un passo indietro – il sorriso bonario di Berlusconi.

Mauro Calise