Un uomo si è tolto la vita, non ce l’ha fatta. La xylella gli ha ucciso le piante, seccato il paesaggio, offuscato la vista sul futuro. Lui ha retto il colpo, è andato avanti con tenacia. Ha comprato le olive, le ha portate al suo frantoio, le ha spremute, ha venduto l’olio. Si è rimesso in pista. Sembrava fatta. Sembrava, appunto.
Poi la crisi gli ha tagliato le gambe. I costi sono schizzati alle stelle; le materie prime, l’energia, i trasporti, i tassi di interesse, tutto all’insù. Oltre, molto oltre qualsiasi previsione e aspettativa. Ci ha messo tenacia. Non è bastato. Ci ha messo forza e volontà. Niente. Non è più tornato in pista, si è fatto da parte. Si è chiuso in se stesso. Poi si è rinchiuso nel suo frantoio. L’atto finale.
Difficile reggere la vita quando l’esistenza diventa un infinito percorso a ostacoli. Le scadenze da affrontare, gli impegni da onorare, il gioco dell’oca tra i mille inutili snodi della burocrazia.
Ora sua figlia dice di quell’uomo che era un papà splendido. “Il più allegro del mondo”. La depressione se l’è portato via. Già, la depressione. Cosa l’ha innescata e fatta esplodere, cosa l’ha determinata e portata a uccidere, questo non interessa. Abbiamo perso un uomo, un lavoratore, un padre, un nonno, una persona perbene, stimata e apprezzata. Silenzio. Come se nulla fosse. Silenzio. Un vuoto di parole - diverso dalle parole a vuoto, abbondanti - in cui precipita la ricerca di senso.