Addio all'ecomostro "vista mare", il Comune vince la battaglia: Villa Sauli sarà demolita

Addio all'ecomostro "vista mare", il Comune vince la battaglia: Villa Sauli sarà demolita
Addio all'ecomostro "vista mare", il Comune vince la battaglia: Villa Sauli sarà demolita
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Sabato 16 Dicembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:31

Da cinquant'anni è un pugno nell'occhio tra le bellezze di Tricase Porto: Villa Sauli andrà demolita. È ciò che ha deciso il Consiglio di Stato pronunciandosi sul ricorso presentato dal Comune di Tricase, che si è rivolto al massimo organo della giustizia amministrativa per contestare quanto deciso dal Tar di Lecce nel 2020. I giudici amministrativi di primo grado, dando ragione ai proprietari dell'immobile, avevano annullato il provvedimento con il quale, nel 2019, il Comune (all'epoca guidato dal sindaco Carlo Chiuri) aveva ordinato la demolizione dell'immobile.

La battaglia del Comuni contro i titolari

L'amministrazione comunale aveva anche ingiunto ai titolari di provvedere alla sistemazione della recinzione esterna e di interdire l'accesso all'intera area, ormai divenuta pericolosa.

Ora, con la sentenza del Consiglio di Stato, ha ottenuto il riconoscimento delle sue ragioni. La palla passa quindi all'Ufficio tecnico comunale, che dovrà far applicare la sentenza e, di conseguenza, avviare la procedura per la demolizione dell'immobile, da decenni in stato di abbandono. Inizialmente, il Tar Lecce aveva accolto le rimostranze dei proprietari, perché per i giudici le difformità segnalate non avevano impedito il rilascio, negli anni Sessanta, del certificato di collaudo e della licenza di abitabilità. Il Comune, però, nel suo appello ha sottolineato che l'immobile si trova in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed ha subìto modifiche, come la traslazione della sagoma e la realizzazione di una scala esterna, tali da richiedere una valutazione della Soprintendenza, in quanto non si poteva compromettere la visuale della sovrastante strada litoranea. Il Comune ha anche sottolineato come il verbale di collaudo e la licenza di abitabilità rilasciati all'epoca non fossero idonei a legittimare le modifiche avvenute in seguito. Inoltre, c'era stata una destinazione di fatto residenziale difforme da quella alberghiero-ricettiva che aveva giustificato il rilascio della licenza di costruire. In aggiunta, era stato costruito un piano sottostante in violazione del divieto di estensione del fabbricato. 

La decisione dei giudici

I giudici di Palazzo Spada (a decidere è stata la sesta sezione, presieduta da Dario Simeoli, estensore Ugo De Carlo), accogliendo il ricorso del Comune hanno rimarcato che la licenza del 1963 richiedeva espressamente che l'immobile fosse adibito esclusivamente ad albergo-ristorante, con il divieto di sopraelevazioni ed estensioni. Ma, aggiungono, «l'immobile non rispettò fin dall'inizio la finalità per cui era stata concessa la licenza edilizia e cioè la destinazione a struttura recettizia autorizzata solo perché in zona vi era una carenza in tale settore. L'albergo richiede l'esistenza di almeno cinque camere mentre nella palazzina ve ne erano solo tre». Questo ha comportato il mancato uso come albergo-ristorante e nel tempo l'immobile è finito in uno stato di abbandono e di degrado che ha richiesto l'intervento del Comune. Dai sopralluoghi, aggiungono i giudici, è emersa una traslazione della sagoma che ha portato alla realizzazione di un edificio sporgente per due lati sul promontorio roccioso che non poteva essere mimetizzato come a suo tempo suggerito dalla Soprintendenza. Tutti questi elementi hanno portato il Comune ad emettere l'ordinanza di demolizione. Nel lungo procedimento giudiziario, che ora si conclude con la sentenza del Consiglio di Stato, il Comune è stato assistito dal professor Ernesto Sticchi Damiani, mentre i proprietari dell'immobile sono stati difesi dagli avvocati Antonio e Pietro Quinto.
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