Pedopornografia, pena ridotta per l’ex sindaco Gianfreda

Pedopornografia, pena ridotta per l’ex sindaco Gianfreda
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Venerdì 9 Giugno 2017, 05:40 - Ultimo aggiornamento: 15:06
È rimasta in piedi l’accusa di detenzione di materiale pedopornografico per l’ex sindaco di Poggiardo ed ex consigliere regionale, Aurelio Gianfreda, 70 anni. Il processo conclusosi l’altro ieri sera davanti ai giudici d’appello della sezione Promiscua (presidente Riccardo Mele, relatore Consiglia Invitto, a latere Maurizio Petrelli) lo ha assolto dall’accusa della condivisione di immagini e foto di minori ritratti in scene pornografiche. Esclusa anche l’aggravante dell’ingente quantitativo di file archiviati su supporti informatici.
Un anno e quattro mesi di reclusione, la pena inflitta dal collegio giudicante d’appello. Per la sola detenzione. Il nuovo calcolo della pena ha previsto la riduzione di un anno della condanna inflitta a febbraio di due anni fa dall’allora giudice per l’udienza preliminare, Annalisa de Benedictis, nel processo che aveva tenuto conto anche della riduzione di un terzo della pena prevista dal rito abbreviato. Tre anni e mezzo, la richiesta di condanna che presentò il pubblico ministero Carmen Ruggiero, nelle vesti di titolare dell’inchiesta.
Il secondo grado di giudizio ha inoltre cancellato le interdizioni dai pubblici uffici. E, dunque, è venuto meno per l’imputato il rischio di non poter svolgere attività istituzionali.
 
L’accusa rappresentata in aula dal sostituto procuratore generale, Claudio Oliva, ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado. Per l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste” si sono pronunciati gli avvocati difensori Luigi Corvaglia e Corrado Giammaruco: perché quando il computer del suo studio scaricava quei file lui non era presente. Perché il programma “Emule” non distingue cosa scaricare ed il contenuto dei file. Perchè, insomma, hanno sostenuto i difensori, manca la prova del dolo. Inoltre è stato ricordato che il collaboratore di studio di Gianfreda, Damiano Gravante, 59 anni, si accollò la responsabilità di quel materiale pedopornografico e per questo chiuse i conti con la giustizia con un patteggiamento ad otto mesi di reclusione. Sul ruolo di Gravante la sentenza di primo grado aveva sotolineato: «E’ evidente nelle dichiarazioni di Gravante il desiderio di “aiutare” l’amico cercando di addossarsi la responsabilità dei fatti, non riuscendo pienamente nel suo intento dimostrando di contraddirsi in vari passaggi e di non avere padronanza con lo strumento informatico». 
Nel processo d’appello è stato inoltre riproposto il problema dell’utilizzabilità delle dichiarazioni fatte da Gianfreda durante le perquisizioni della polizia giudiziaria: sostenne che il computer lo utilizzasse solo lui. Per la difesa quelle frasi non potevano finire nelle carte dell’inchiesta e del processo, perché pronunciate in assenza di un difensore. Lo chiariranno le motivazioni della sentenza, attese nelle prossime due settimane. 
A dare il via alle indagini, nel maggio 2011, fu una segnalazione della Procura di Trento che stava indagando sulla pedopornografia on line in tutta Italia. Il computer nello studio di Gianfreda finì tra quelli che scaricarono i file “civetta” inseriti in rete allo scopo di smascherare chi li condivideva. Furono trovati 79 supporti contenenti migliaia di foto e filmati di minorenni e due dvd: non si trattò di “ingente quantità”, ha detto il processo d’appello.
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