Omicidio davanti al bar dopo il caffè, definitiva la condanna a 30 anni

Omicidio davanti al bar dopo il caffè, definitiva la condanna a 30 anni
di Erasmo MARINAZZO
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Mercoledì 26 Ottobre 2016, 19:04
Definitiva la condanna a 30 anni di reclusione per Lorenzo Arseni, 50 anni, di San Cesario, autore dell'omicidio del body guard Gianfranco Zuccaro la mattina del 7 luglio di tre anni fa davanti al bar di piazza Garibaldi dove avevano appena preso un caffè insieme.
La prima sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna inferta dalla Corte d'Appello di Lecce il 31 agosto dell'anno scorso. Confermata la condanna di Arseni a versare una provvisionale di diecimila euro al padre di Zuccaro, nonchè alle tre sorelle assistite anch’esse dall’avvocato Mariangela Calò ed alla sorella costituitasi con l’avvocato Giovanni Valentini.
In primo grado ad Arseni erano stati inflitti 20 anni di reclusione nel processo con rito abbreviato davanti al giudice per l'udienza preliminare, Carlo Cazzella, che aveva escluso l'aggravante della premeditazione. Fra le prove dell'accusa sostenuta dal pubblico ministero Roberta Licci, anche il filmato dell'impianto di videosorveglianza del bar che ritrasse tutta la sequenza dell'omicidio consumatosi con sette colpi di pistola.
Le motivazioni della sentenza d'Appello sostennero che non ci furono mafia,  movente passionale e nemmeno provocazione. Lorenzo Arseni ammazzò il bodyguard Gianfranco Zuccaro per affermare il suo prestigio criminale. Per anticipare un’aggressione che lo avrebbe screditato agli occhi di chi lo riteneva all’altezza di mettere a posto quell’uomo esperto di boxe e di arti marziali, arrivato a schiaffeggiare ed a picchiare i suoi amici ed i suoi parenti. Capace anche di affermare con durezza che Arseni lo avrebbe spezzato come un grissino.
Fu riconosciuta l’aggravante della premeditazione invocata dal eprocuratore generale Antonio Maruccia e dal pubblico ministero Roberta Licci, come anche l’insusistenza della mafiosità ravvisata dagli avvocati difensori Ladislao Massari e Massimiliano Petrachi. “Numerosi sono gli elementi che riportano la sua causale al fatto che Zuccaro ritenesse Arseni l’autore degli atti vandalici posti in essere nei suoi confronti”, ha scritto nelle motivazioni della sentenza il giudice relartore Antonio del Coco (presidente Vincenzo Scardia). Militano in tal senso le dichiarazioni di D.P in ordine ai litigi intercorsi fra Zuccaro e Arseni e alle discussioni tra i due circa alcune persone protette da quest’ultimo, che avevano avuto litigi o problemi con Zuccaro , nonché sulla scarsa considerazione che questi avesse del primo”.
Il processo d’appello avallò la tesi dell’inchiesta del pubblico ministero Licci e dei carabinieri del Nucleo investigativo: Zuccaro temeva per la sua vita. Per questo si era procurato il giubbotto antiproiettile e le armi ritrovate poi nella casa presa in affitto a Lecce. E l’ipotesi che ad armare Arseni fossero state le attenzioni riservate da Zuccaro a sua moglie? Una storia montata a regola d’arte, ha detto il processo d’appello: perché i parenti dell’imputato ne parlarono sì al telefono, ma erano consapevoli di essere intercettati. Quanto alla provocazione, la visione del filmato e l’ascolto delle persone che li videro insieme quella mattina al bar a prendere un caffè, hanno indotto i giudici d’appello che Arseni piuttosto avesse pianificato da tempo l’omicidio più che reagire d’impulso.
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