La moto non si ferma all'alt: spari e fuga. Forse era l'evaso di Trepuzzi

La moto non si ferma all'alt: spari e fuga. Forse era l'evaso di Trepuzzi
di Erasmo MARINAZZO
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Lunedì 30 Novembre 2015, 09:19

Una motocicletta sfuggita all’alt di notte lungo la litoranea Adriatica. Un episodio che ha aggravato il sospetto sulla possibilità che il latitante Fabio Perrone disponga di una moto, oltre che di una mitraglietta e di due pistole.

E’ successo qualche giorno fra Casalabate e Lendinuso, cioè nelle marine dove il 42enne di Trepuzzi alloggiava in casa di alcuni parenti prima dell’arresto della notte del 29 marzo dell’anno scorso dopo l’omicidio del montenegrino Fatmir Makovic costatogli in seguito l’ergastolo nel processo di primo grado. E sono stati sparati alcuni colpi di arma da fuoco.

Di notte, al buio e con la tensione creata dalla consapevolezza della facilità con cui spara ed ammazza l’uomo evaso dall’ospedale “Vito Fazzi” verso mezzogiorno del 6 novembre scorso, una pattuglia della polizia penitenziaria ha visto arrivare una motocicletta, mentre effettuava un posto di blocco su quella litoranea.

La moto si è fermata a qualche decina di metri con una frenata brusca, ha allargato la traiettoria ed ha fatto inversione di marcia. Inutili i richiami di fermarsi, le sirene e di lampeggianti accesi nell’inseguimento. A scopo intimidatorio la penitenziaria ha esploso anche qualche colpo di pistola in aria. Ma nulla, quella moto si è dissolta nel buio sfruttando la potenza e l’agilità.

Era Fabio Perrone? Certezze non ce ne sono. Sospetti sì. E tanti pure. Anche alla luce della notizia materializzatasi nel corso delle ricerche di quest’uomo che si ritiene sia ancora nascosto nel Nord Salento: le armi e la motocicletta gli sarebbero stati forniti da una persona che gli avrebbe consegnato il compito di mettere a segno un attentato. E trattandosi di “Triglietta” sul quale, peraltro, pendono sospetti di essere stato l’autore materiale di altri omicidi quando militava nel clan della Sacra corona unita del boss storico Gianni De Tommasi (appartenenza pagata con 18 anni di carcere, anche per un tentato omicidio), sono state rafforzate le misure di sicurezza al palazzo di viale Michele De Pietro che ospita il polo della giustizia penale ed in particolare a Cataldo Motta in quanto procuratore e capo della Direzione distrettuale antimafia.

Si tratta di misure suggerite dalla prudenza e dalla ragionevolezza perché le ricerche affidate ai poliziotti della Squadra mobile, ai carabinieri del Nucleo investigativo ed alla polizia penitenziaria stanno convergendo almeno su un punto: sono giorni in cui Fabio Perrone avrebbe scelto di non mettere piede fuori dal suo nascondiglio. La scaltrezza maturata carcere e nella militanza nella Scu gli starebbero suggerendo di stare alla larga dalle troppe le attenzioni sulla sua persona in questi giorni che le ricerche non accennano a diminuire di intensità.

Il passare dei giorni comunque, una certezza l’ha data: non è solo, “Triglietta”. Ha costruito attorno a se’ una rete di sostegno. E c’è anche il timore che possa aggregare un clan per prendere in mano la gestione degli affari illeciti targati Scu. Come fece del resto un ex latitante eccellente della zona, il surbino Salvatore Caramuscio quando il 10 settembre del 2009 tornò libero per decorrenza dei termini di custodia cautelare e prese le redini delle estorsioni e dei traffici di droga.