Salento, assenteismo al provveditorato: in 24 chiedono la messa alla prova

La sede del provveditorato agli Studi
La sede del provveditorato agli Studi
di Roberta GRASSI
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Martedì 7 Marzo 2023, 21:12 - Ultimo aggiornamento: 21:33

In 24 hanno chiesto la messa alla prova nell'udienza preliminare: ossia di poter svolgere lavori di pubblica utilità o documentare l’impegno presso associazioni di volontariato per ottenere l'estinzione del reato. 
In due hanno optato per il rito abbreviato, gli altri attendono che il gup Laura Liguori decida sul rinvio a giudizio. Si parla di presunti furbetti del cartellino al provveditorato agli studi di Lecce, ossia l'ufficio scolastico provinciale. 

Dovrà esprimersi il pm

Sulla richiesta di messa alla prova dovrà esprimersi anche il pm Maria Consolata Moschettini che ha coordinato l’inchiesta dei carabinieri della stazione di Lecce. 
A tutti è contestata l’accusa di truffa aggravata. Si è costituito parte civile il ministero dell’Istruzione con l’avvocatura dello Stato.  I 28 imputati, secondo l'accusa, on avrebbero strisciato il badge nel lettore per andare a svolgere mansioni non inerenti i rispettivi compiti assegnati nell’arco di tempo fra febbraio e marzo 2020. Questo convincimento è basato sull’incrocio fra i filmati delle telecamere con i dati del lettore del badge e con gli ordini di servizi emanati dalla dirigenza, e infine con i pedinamenti. 
Gli imputati provengono da Aradeo, Lizzanello, Lecce, Squinzano, Miggiano, Taviano, Copertino, Surbo, Porto Cesareo, Maglie, Melendugno, Alezio, Galatone, Veglie, Scorrano, Trepuzzi, Cavallino, San Donato, Tricase, Campi Salentina ed Otranto.

Le soste

Si parla di soste al bar vicino agli uffici, come anche al supermercato. Oppure allontanamenti dal posto di lavoro per il disbrigo di faccende della sfera privata dei dipendenti. Seguiti per un paio di mesi, tre anni fa, facendo il conto dei giorni, delle ore, dei minuti dell’importo percepito in quei frangenti e, dunque, per questo ritenuto provento di truffa: risultati sul posto di lavoro poiché non avrebbero segnalato l’assenza, assenti nella realtà.
Nei guai anche per assenze di  23 ore e 30 minuti, per un guadagno totale di 165 euro pur se - questa l’accusa - non gli sarebbe spettata poiché non stava lavorando. Tanti tuttavia in casi in doppia cifra: 11 ore e 22 minuti, 14 ore e 26 minuti, 12 ore 3 33 minuti, 13 ore e 14 minuti, 10 ore e 42 minuti ed altri ancora.
In tutto erano 37 i nomi che comparivano nell’avviso di conclusione delle indagini che è stato notificato esattamente un anno fa.

Le posizioni erano diverse fra loro. In taluni casi c’erano state pause brevi, non più di qualche caffè. I fatti si sarebbero verificati nei primi mesi del 2020, in entrata e uscita dagli uffici di via Cicolella. Come sempre accade in questi casi, in presenza di inchieste di questo genere, i militari si sono appostati. Hanno prelevato copia delle timbrature. In alcuni casi hanno fotografato i lavoratori. L’accusa sostiene che vi siano state delle assenze irregolari, perché non giustificate.

La difesa

La difesa è sempre stata di diverso avviso. Ad ogni modo, la gran parte degli imputati (che non ha assolutamente precedenti penali) ha optato per la richiesta di messa alla prova. Uno strumento che consente di evitare il processo e di chiudere la vicenda con un proscioglimento, nel caso in cui si superi un periodo trascorso a compiere lavori di pubblica utilità o al servizio della collettività in altro modo. È scontato, specie in presenza di parti civili, che ciò può avvenire solo una volta chiuso il conto anche sul fronte del risarcimento del danno. Se ne riparlerà nel corso della prossima udienza, quando il gup avrà acquisito anche il parere della Procura e si esprimerà quindi su tutte le istanze. 

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