Ucciso e sepolto con la calce in un bidone. Interrogata una figlia dell'ex pentito Barba

Ucciso e sepolto con la calce in un bidone. Interrogata una figlia dell'ex pentito Barba
di Erasmo MARINAZZO
4 Minuti di Lettura
Martedì 31 Gennaio 2017, 10:16 - Ultimo aggiornamento: 1 Febbraio, 22:39

Una “lupara bianca” a Gallipoli in stile Cosa Nostra. Un macabro ritrovamento nella notte dell’altro ieri in contrada Monaci, nel boschetto a poca distanza dalla strada per Leuca: un uomo di media corporatura è stato trovato dentro un bidone di ferro. Completamente avvolto e bloccato dal cemento e dalla calce. Come se il corpo fosse stato gettato nella malta ancora fresca. Pietre e arbusti - oltre alla posizione orizzontale del bidone - sono serviti a farlo sembrare uno dei tanti rifiuti ferrosi abbandonati in campagna. Un oggetto, insomma, che prima vista non avrebbe destato nessun allarme. Anche perché la malta solidificata ha impedito il disperdersi dei cattivi odori della decomposizione. C’era anche una corda: potrebbe essere stata usata per strangolare o per immobilizzare la vittima. Una “lupara bianca” di un esperto della materia.
C’era un uomo lì dentro. Ucciso e buttato nel bidone: c’è un’inchiesta per omicidio volontario, distruzione ed occultamento di cadavere. Ci stanno lavorando il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia (Dda), Alessio Coccioli, con i carabinieri del Nucleo investigativo e della Compagnia di Gallipoli.
I primi sospetti sull’identità dell’uomo tombato nel cemento si sono orientati verso il marocchino Khalid Lagraidi, 41 anni, ambulante con residenza a Lecce. Si tratta dell’uomo scomparso il 23 giugno scorso e sul quale era stata avviata dai poliziotti della Squadra mobile un’inchiesta per sequestro di persona, dopo la denuncia presentata in Questura dalla sorella. E questo fascicolo assegnato inizialmente al pubblico ministero della Procura ordinaria, Emilio Arnesano, è stato acquisto ieri dalla Dda su disposizione del procuratore aggiunto Antonio De Donno. Un fascicolo, quello aperto la scorsa estate, che già conterrebbe elementi utili per definire meglio la pista giusta.

 

Da questo sospetto e dalla conoscenza della frequentazione di Lagraidi con una delle figlie del gallipolino Marco Barba, 43 anni, le indagini stanno cercando di verificare se e quale ruolo potrebbe avere avuto l’ex pentito con alla spalle una condanna per due omicidi di mafia ed estorsione e attualmente in carcere per stalking ed estorsione al politico-ristoratore Sandro Quintana. Un Barba che è accusato anche per il possesso di un fucile, di un mitra kalashinikov, di due pistole, diversi proiettili e 12 bombe artigianali.
Nella lunga e concitata notte la figlia di Marco Barba è stata condotta in caserma per essere sentita. Lo scopo: capire qualcosa in più della sua frequentazione con Lagraidi. E, soprattutto, cercare di capire cosa pensasse il padre di quel rapporto oltre che per mettere a fuoco ogni altra circostanza utile a risalire alla “lupara bianca”.
La verità potrebbe avere bisogno ancora di poche ore per venire a galla e gli inquirenti stanno mantenendo il massimo riserbo. Blindata la fonte che ha svelato la presenza del fusto in campagna con dentro il corpo di un uomo: l’allarme è stato dato da una telefonata anonima, così hanno spiegato i carabinieri. Si intuisce, ad ogni modo, che a chiamare il 112 non sia stato un ambientalista a spasso a quell’ora per il boschetto. Quanto piuttosto una persona al corrente di cosa nascondesse quel fusto. E quindi interessato, per ragioni che l’inchiesta sta cercando di chiarire, a far emergere quella verità seppellita nel cemento e nella calce.
La comunicazione è arrivata ai carabinieri verso le 22, ma ci sono volute alcune ore prima di trovarsi al cospetto di un omicidio. Intorno all’1.30 della notte i carabinieri della sezione Rilievi hanno estratto il corpo alla presenza dei colleghi, del pubblico ministero Coccioli e del medico legale Roberto Vaglio.
Il corpo era in posizione fetale e per le condizioni in cui si trovava non è stato possibile stabilire se avesse segni di violenza. Un compito affidato al medico-legale Vaglio che nelle prossime ore si affiderà ad una Tac per cercare l’eventuale presenza di fratture, lesioni, tagli o fori di arma da fuoco.
Per Gallipoli, ma per l’intero Salento, è stato come calarsi di nuovo negli anni ‘90.
Quando le “lupare bianche” erano le vendette fra clan rivali. Il metodo è lo stesso. Mafioso. Questa, tuttavia, sembra un’altra storia: la vittima non ha alcun coinvolgimento nelle dinamiche criminali. Forse - ma è solo un’ipotesi al vaglio - ha frequentato le persone sbagliate.

© RIPRODUZIONE RISERVATA