L’autopsia conferma: tre colpi sparati in testa

L’autopsia conferma: tre colpi sparati in testa
3 Minuti di Lettura
Venerdì 29 Luglio 2016, 09:33

Sei colpi: tre alla testa, due alle spalle e uno di striscio al braccio sinistro. L’autopsia eseguita ieri sera sul corpo di Antonio Di Cataldo, 33 anni, ucciso dal padre Cosimo al culmine di una lite, non fa che confermare la versione dei fatti resa dall’indagato, in carcere con l’accusa di omicidio volontario. Ha sparato al figlio con un revolver Smith&Wesson che il ragazzo aveva portato in casa e che era carico di tutte le cartucce che il tamburo può contenere. L’approfondimento diagnostico sul cadavere della vittima è stato compiuto dal medico legale Antonio Carusi, incaricato dal pm di turno, Francesco Carluccio, titolare dell’inchiesta. Cosimo Di Cataldo, 58 anni, è in carcere da mercoledì all’alba. Dopo il lungo interrogatorio in cui ha ammesso di aver premuto il grilletto e ha ricostruito quanto accaduto nella sua abitazione di Latiano, in via Scarafile, alle 23 di martedì scorso, sarà risentito stamattina alle 10 nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto in flagranza disposto dai carabinieri di concerto con il sostituto procuratore. Al suo fianco ci sarà l’avvocato Giancarlo Camassa.

La dinamica dei fatti è piuttosto chiara. A quanto emerso dalla narrazione lucida fatta dal genitore e dalla testimonianza resa dalla moglie, la madre della vittima, attorno alle 22.40 nell’appartamento alla periferia di Latiano è scoppiato l’inferno. La donna si è accorta che il figlio, con cui da tempo c’erano rapporti tesi per ragioni legate a richieste di denaro, aveva con sé un’arma. Il padre è corso in bagno, dove il ragazzo stava facendo la doccia, e l’ha effettivamente trovata: si trovava su una mensola. Ha chiesto spiegazioni, ha avuto inizio una discussione degenerata poi nell’androne adibito a garage. Dalle parole alle botte il passo è stato breve. Antonio ha quindi estratto la calibro 38. Il genitore lo ha disarmato e una volta in pugno il revolver ha fatto fuoco. Una, due, sei volte. I proiettili hanno centrato il 33enne in fronte, a uno zigomo, alla nuca. Nella zona toracica, ma alle spalle. E poi di striscio al braccio sinistro.

“L’ultimo colpo - ha specificato l’arrestato - era per me”, facendo intendere ai militari dell’Arma e al pm Carluccio, che se avesse avuto a disposizione ancora una cartuccia, si sarebbe tolto la vita.
Di Cataldo, una volta realizzato di aver perso la testa, ha chiamato il 112. Ha atteso l’arrivo dei militari lì, accanto al cadavere del figlio che giaceva in una pozza di sangue. Si è consegnato, senza opporre alcuna resistenza e non si è sottratto alle numerose domande che gli sono state poste, per soddisfare la necessità investigativa di tratteggiare ogni sfumatura della vicenda e di testare l’attendibilità della confessione.
Ha stretto tra le mani la carta d’identità di Antonio, l’ha baciata. Ha chiesto di poterlo salutare per l’ultima volta ma non gli è stato concesso: la salma era già stata trasferita all’obitorio di Francavilla Fontana, a disposizione della magistratura. Stamani sarà concesso il nulla osta per i funerali e per la sepoltura.
La pistola a tamburo è stata sottoposta a sequestro, con tutti e sei i bossoli rimasti all’interno. La contestazione, per il momento, è quella di omicidio volontario nella forma non aggravata, sebbene ci siano l’uso dell’arma e il rapporto di parentela a rendere più complessa la situazione giudizaria dell’indagato. L’operaio 58enne attende in carcere di essere riascoltato: il suo fardello è già di per sé pesantissimo. Ha provocato la morte del figlio, un dramma che a sentire persone vicine alla famiglia pareva proprio essere annunciato.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA