Dal 1964, l’anno in cui fu avviata la costruzione della centrale Enel di Costa Morena (Brindisi Nord) la città è stata utilizzata come piattaforma energetica tra le più importati d’Italia, al servizio della Puglia, del Sud e dell’intero Paese con l’obiettivo di garantire l’elettrificazione del territorio nazionale e porre le condizioni per un sviluppo economico e sociale che permettesse a Nord e Sud di crescere insieme. Con la costruzione della centrale di Cerano, decisa nel 1982 ed entrata in funzione più di 10 anni dopo, Brindisi e il Salento hanno messo a disposizione il loro territorio per rispondere ancora una volta alla necessità di produrre energia per la crescita del Paese, ospitando un polo energetico con una potenza produttiva installata di circa 4000 megawatt, e hanno assunto su di sé anche le conseguenze ambientali di quella scelta.
Il polo energetico
Ora l’Enel ha deciso che ciò resta del polo energetico (la centrale di Cerano) non serve più e gli interventi strategici vengono effettuati tenendo conto di logiche aziendali che devono fare soprattutto riferimento ad altri obiettivi. Nei giorni scorsi l’amministratore delegato del Gruppo Enel, Flavio Cattaneo, ha presentato il Piano strategico 2024-2026 nel quale viene evidenziato che “la strategia è quella della ottimizzazione dell’allocazione del capitale, efficienza ed efficacia, sostenibilità ambientale al fine di massimizzare generazione di cassa e redditività con un solido rendimento per gli azionisti”. Nel triennio sono previsti investimenti per 35,8 miliardi ma non c’è posto per Brindisi, neppure un posto in ultima fila. Tant’è che dalle forze di governo (in particolare da Forza Italia con il deputato brindisino Mauro D’Attis e il nuovo capogruppo del Senato Maurizio Gasparri è stato chiesto al governo e all’Enel di prevedere investimenti su Brindisi, di dare risposte a fronte della cessazione della produzione di Cerano.
Le prese di posizione
Non bastano queste per ottenere l’attenzione de governo e soprattutto dell’Enel, società quotata in borsa che, come ricorda Cattaneo, deve garantire un solido rendimento agli azionisti. Vi è invece la necessità di provocare una mobilitazione per rivendicare ricadute su Brindisi, senza lasciare che siano organizzazioni imprenditoriali come Confindustria e Cna, a decidere, sulla scorta di interessi privati (legittimi, ma privati) quale futuro debba avere la città. Il Comune capoluogo deve essere il fulcro di questa battaglie.
La presidenza del Tavolo per la decarbonizzazione della centrale di Cerano (ormai ferma) e di quella di Civitavecchia è stata affidata al sindaco Giuseppe Marchionna dal Ministero del Made in Italy il 9 novembre scorso e ci si aspettava che la presentazione del Piano strategico di Enel 2024-2026 potesse offrire qualche indicazione in merito. Ma la presentazione, avvenuta il 22 novembre, non ha offerto alcuno spiraglio a proposito. Anzi. E resta da capire come davvero il governo e l’Enel, oltre che i partiti di maggioranza e di opposizione e le forze sociali e imprenditoriali, intendano rispondere ai bisogno di Brindisi, alla dismissione di una centrale che ancora oggi garantisce il lavoro a 237 dipendenti Enel e a circa 500 operatori di ditte appaltatrici, con ricadute sulle attività portuali (collegate al trasporto del carbone) per altre centinaia di lavoratori e di imprese.
Per anni la chiusura
Della centrale di Cerano è stato visto dagli ambientalisti come un obiettivo strategico, tenendo conto che la produzione energetica comportava conseguenze negative per l’intero territorio salentino (vi ricordate i campi di carciofi e i vigneti coperti di polvere di carbone lungo il percorso del nastro trasportatore del carbone che va dal porto a Cerano?) e immetteva in atmosfera milioni di tonnellate di inquinanti.
La convenzione del 1984
Fu sottoscritta dal Comune di Brindisi la convenzione per la realizzazione di una centrale da 2640 megawatt a Brindisi Sud /Cerano che avrebbe dovuto sostituire l’obsoleto impianto di Brindisi Nord/Costa Morena, la quale aveva funzionato a olio combustibile sino al 1979 e poi con alimentazione a carbone. In quegli anni si è discusso molto nel ruolo che Brindisi avrebbe dovuto avere e poi ha avuto come polo energetico. E si è discusso anche del potenziamento del porto in funzione dell’approvvigionamento delle centrali Enel, con la possibilità di movimentare tra 8 e 12 milioni di tonnellate di carbone all’anno per farne il secondo porto carbonifero d’Europa, dopo quello di Glasgow, in Scozia. Nel frattempo Glasgow ha subito una profonda trasformazione e dopo essere stato un importante centro industriale è diventata una città attrattiva per i servizi (ora risulta essere tra le prime 60 città più vivibili del mondo). A Brindisi si è continuato a ragionare con logiche coloniali. La città non trova modo di cambiare e chi, come l’Enel, l’ha sfruttata può decidere di abbandonare il campo senza pagare pegno. E’ il caso di ricordare che la centrale di Cerano occupa 270 ettari di terreno. Senza impegni e scelte precise del governo e dell’azienda energetica e senza una mobilitazione che non faccia sconti a nessuno il pegno continueranno a pagarlo Brindisi e il Salento. Anche in termini di occupazione di spazi che non potranno mai essere utilizzati per altri progetti.
Siamo di fronte alla madre di tutte le battaglie per la difesa del territorio. Nessuno si può sottrarre alle proprie responsabilità. Tanto meno l’Enel e il governo.