Polveri di carbone Enel: la Provincia chiede «danni per 500 milioni»

Polveri di carbone Enel: la Provincia chiede «danni per 500 milioni»
di Roberta GRASSI
3 Minuti di Lettura
Giovedì 23 Giugno 2016, 07:23 - Ultimo aggiornamento: 17:29
Non solo condanna al maxi risarcimento da 500 milioni di euro, l’importo quantificato nella costituzione di parte civile. La Provincia di Brindisi, assistita dall’avvocato Rosario Almiento, chiede anche la condanna degli imputati – in solido con i responsabili civili che sono Enel Produzione, la ditta Nubile e la Cannone, entrambe appaltatrici – a provvedere entro un anno alla bonifica e al ripristino ambientale, alla messa in sicurezza d’urgenza e permanente, dei terreni “oggetto della contaminazione da metalli pesanti”. 
Secondo il legale dell’ente, che ha discusso nell’udienza di ieri, quei terreni su cui si sarebbero propagate le polveri di carbone fuoriuscite dal nastro trasportatore e dal carbonile della centrale Enel Federico II di Cerano, non sarebbero più utilizzabili per l’agricoltura. L’unica soluzione sarebbe quella di impiantare del verde per ottenerne una completa riqualificazione.
 
Per Almiento, tra l’altro, il processo iniziato nel dicembre 2012 a carico di 15 persone, di cui 13 sono manager Enel, avrebbe fatto emergere anche l’assoluta inadeguatezza - molto spesso per scarsità di mezzi e risorse - degli organismi di controllo locali, documentata dall’assenza di dati specifici sulle conseguenze dell’impatto industriale dell’impianto, carenza rilevata per altro dal consulente nominato dalla procura, il docente universitario Claudio Minoia. 
Almiento nella sua arringa ha fatto cenno anche ai tagli imposti alle Province che però continuano a mantenere i poteri attribuiti in materia ambientale. E pur ricordando che le accuse contestate sono danneggiamento aggravato e getto pericoloso di cose e non reati ambientali (ipotesi che potrebbero essere vagliate – secondo l’avvocato – in altri procedimenti penali), si è soffermato anche sul “danno ambientale” subito dalla Provincia di Brindisi che per questo si è costituita parte civile. 

Danno ambientale che sarebbe esigibile dall’Ente locale per quanto verificatosi fino all’anno 2006 (per gli anni successivi solo il ministero dell’Ambiente potrebbe farlo, ma non si è costituito) e che è stimato in 75 milioni di euro. Il danno patrimoniale in termini di investimenti finalizzati al monitoraggio dell’inquinamento atmosferico (aria – terra – acqua) nell’area contaminata è stato invece quantificato nella somma di 118mila euro. Venti milioni invece sarebbero necessari, secondo le stime, alla bonifica ambientale. Ci sono poi 100 milioni per la flessione delle entrate economiche nel settore agricolo, 816mila euro per l’azzeramento degli sforzi compiuti dalla Provincia per la promozione culturale e turistica del territorio. Infine 250 milioni di danno di immagine per la “perdita di chance” intesa come “occasioni di sviluppo economico dal punto di vista turistico, eno-gastronomico e culturale”. 

Nella precedente udienza il pm che ha coordinato le indagini e sostenuto l’accusa a processo, Giuseppe De Nozza, aveva invocato al termine della requisitoria la condanna a 3 anni di reclusione per 13 dei 15 imputati. Solo per Sandro Valery, responsabile protempore area business Enel Produzione, e Luciano Mirko Pistillo, due dei 13 manager Enel a processo insieme a due imprenditori locali (Luca Screti e Aldo Cannone), la pubblica accusa ha invocato la pronuncia di non doversi procedere per estinzione dei reati per prescrizione. Quanto alle contestazioni, mosse in seguito a indagini condotte dalla Digos di Brindisi, vi sarebbe stato l’imbrattamento e l’insudiciamento dei campi e delle colture provocato dalla fuoriuscita di polveri di carbone. I capi di imputazione che riguardavano fatti relativi al 2009 e al 2010, è stato esteso nel corso del dibattimento fino al novembre 2013. Secondo quanto affermato, la società elettrica avrebbe avuto consapevolezza degli spolveramenti sin dal 2000. E ciò sarebbe confermato dall’esistenza di comunicazioni interne nelle quali venivano valutate eventuali contromisure per impedire la fuoriuscita di carbone, tra cui la copertura del parco di stoccaggio, che è però stata realizzata molto dopo. Le difese Enel, alle quali passerà la parola il 13 luglio prossimo, sostengono invece che non vi sia prova che la coltre nera depositata sui campi sia effettivamente carbone. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA