Il Salento a fari spenti nel racconto di Mello

Federico Mello
Federico Mello
di Renato DE CAPUA
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Martedì 14 Maggio 2024, 05:00


Un noto dipinto del pittore francese Paul Gauguin ha un nome formato da tre domande “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”, tre quesiti cruciali che possono condurre il singolo a interrogare sé stesso oppure una terra, una collettività, a voler ricostruire la genealogia delle proprie radici, individuando un punto di partenza e stabilendone un altro d’arrivo, per tirare le somme e fermarsi entro il limite della certezza. In questa direzione viaggia “Educazione salentina o di come il Salento è diventato il Salento” (Kurumuny, 2024), il nuovo libro del giornalista e scrittore Federico Mello, attualmente redattore del Giornale Radio Rai, dove si occupa di società, fenomeni culturali e comunicazione. Per condurre la sua indagine, Mello preleva un quarto di secolo dalla linea del tempo, in particolare gli anni compresi tra il 1980 e il 2005, dimostrandone l’importanza ai fini della delineazione dei tratti identitari del Salento, territorio precedentemente sconosciuto ai più, segnato da una troppo periferica marginalità e fuori dai radar di una cartografia culturale, processo, invece, ad oggi in atto con prolifici risultati.

Scorrendo tra le pagine, siamo chiamati a compiere un esercizio di memoria e curiosità: dopo una suggestiva ricostruzione storica, che va letta in chiave antropologica, poiché non perde mai di vista le attività umane e il loro impatto sulla società e sul paesaggio, il Salento viene descritto come un crocevia di culture.

Successivamente si entra nel vivo dell’opera.

Gli anni Ottanta

Siamo negli anni Ottanta e il centro storico di Lecce è profondamente diverso da come oggi ci appare, essendo un terreno di tensione, sopraffazione, prepotenza. Ciao e Fiat 127 sfrecciavano tra il degrado di pericolanti caseggiati barocchi e l’ambiguità del popolo della notte. Eppure, proprio in quegli anni, quando tra i fogli bianchi e neri del “Quotidiano di Lecce” il cronista Renato Moro denunciava a viso aperto e con coraggio i reati della criminalità organizzata e scriveva che “libertà è una notte senza bombe”, cominciavano a germinare i semi del rinnovamento. «Ho avuto in sorte una fortuna che in pochi hanno avuto- scrive Mello- nascere in una terra lontana, isolata, povera, dove la criminalità la faceva da padrone, e vederla cambiare, rifiorire, coltivare cultura e rispetto, sconfiggere la mafia, darsi una possibilità di sviluppo».

Tutto questo si deve all’opera di donne e uomini straordinari, che nel libro sono interlocutori dell’autore e allo stesso tempo reali protagonisti di un’unica grande storia, portatori di un’aria sana di rinnovamento, del vento buono che gonfia le vele ai naviganti. Tanti gli intervistati. Ma l’indagine si ferma volutamente “a metà degli anni zero” per non oltrepassare quel margine di esattezza che divide la storia dalla cronaca, più incerta e meno definibile. La lettura di queste pagine è avvincente e arricchisce il lettore di un sapere che conviene sempre avere a portata di mano: una raccolta sistematica di dati oggettivi, ma anche di ricordi personali, frutto di studi, ricerche e incontri dell’autore, nonché il risultato di quanto è stato fatto finora, con l’attenta individuazione dei punti salienti sui quali bisogna intervenire. L’approdo di questa cosciente retrospettiva sentimentale, infatti, restituisce a riva alcune importanti evidenze: il Salento non è ancora un luogo completamente pacificato, permangono problemi e contraddizioni, sebbene oggi si possa contare sulla costruzione di un solido tessuto connettivo fatto di storia, memoria, futuro. Aperte restano le discussioni sulla gestione del turismo, sul miglioramento dei trasporti, e ancora, sull’inquinamento, il rilancio dell’agricoltura e altri temi di interesse collettivo, segnalati dall’autore.

La copertina

La copertina dell’opera è una foto di Gabriele Albergo: il profilo di una inossidabile Fiat Panda staziona su un lembo di macchia mediterranea, lasciandosi attraversare dall’intensità del blu che dal mare digrada verso il cielo e cattura la bellezza di una terra da custodire. Il libro di Mello ricorda a noi tutti che la storia è un processo dinamico, non un’arida somma di fatti, perché si tratta della narrazione di un destino condiviso, dell’azione di uomini e cose che non ha conosciuto il tempo della resa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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