Puglia, culle sempre più vuote: «Più servizi per una svolta»

Puglia, culle sempre più vuote: «Più servizi per una svolta»
di Giuseppe MARTELLA
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Sabato 11 Maggio 2024, 05:00


Il vento freddo della denatalità continua a sferzare l’Italia e la Puglia. Sono sempre meno le nascite lungo tutto lo Stivale e il territorio pugliese non sfugge a questa emergenza. Un tema delicatissimo, di cui ha parlato anche Papa Francesco: «A causa dei ritmi di vita frenetici, dei timori riguardo al futuro, della mancanza di garanzie lavorative e tutele sociali adeguate, di modelli sociali in cui a dettare l’agenda è la ricerca del profitto anziché la cura delle relazioni, si assiste in vari Paesi a un preoccupante calo della natalità».

I dati Istat

Secondo i dati elaborati dall’Istat, infatti, nel 2023 sono nati soltanto 379mila bambini, poco più di 25mila quelli pugliesi. Numeri ancora peggiori rispetto agli anni precedenti e che disegnano una realtà già complicata e destinata a peggiorare nel prossimo futuro, qualora non si concretizzasse una inversione di tendenza tanto difficile quanto ancora possibile. Secondo le stime di esperti e associazioni delle famiglie entro il 2033 bisognerebbe riportare le nascite oltre quota 500mila, così da avere 1,5 figli per donna, oggi il valore italiano e pugliese si attesta a 1,2 bambini per madre: solo così si potrebbe cercare di evitare di avere tre over 65 per ogni giovane nel 2050. Dati incontrovertibili che mettono, tra l’altro, a serio rischio la tenuta del sistema pensionistico. Perché questo non accada, sarebbe necessario non scendere mai al di sotto della soglia di 1,5 lavoratori per ogni pensionato a carico della previdenza statale.

Ma le questioni aperte sono tante, molte delle quali in questi giorni sono state affrontate negli Stati Generali della Natalità, un momento di discussione al quale non ha mancato di dare il proprio contributo anche il potenfice. Secondo i dati elaborati dall’Istituto Nazionale di Statistica, partendo dai nati italiani a quota 379mila, si evidenzia una diminuzione delle nascite rispetto al 2022 pari a 14mila unità (-3,6%).

Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è addirittura di 197mila unità (-34,2%). Il numero medio di figli per donna, il tasso di fecondità, in Italia scende così da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi di molto al minimo storico di 1,19 figli registrato nel lontano 1995. Se la situazione italiana non lascia spazio a prospettive rosee, quanto accade in Puglia è molto simile. La contrazione delle nascite è infatti un dato ormai cronico, e così nel 2023 per ogni donna pugliese in età fertile il numero medio di figli è simile a quello nazionale. Un valore pari a 1,2 che vale un nono posto nella classifica delle regioni, ben lontano dall’1.42 del Trentino Alto Adige che stacca il resto del gruppo tirato poi da Sicilia (1,32), Campania e Calabria, dove il numero medio di bambini per donna è rispettivamente a 1, 29 e 1,28.

La docente dell'Università di Bari

«La denatalità è una problematica che persiste in Italia e anche in Puglia – le parole di Miriam Carella, docente di Demografia e Statistica sociale dell’Università “Aldo Moro” di Bari - e continuiamo a registrare un numero di nascite in declino e i dati, seppure lentamente, peggiorano anno dopo anno. Le coppie e le donne in particolare decidono di avere figli in età sempre più avanzata e ritardano la loro scelta riproduttiva – continua – decidendo al contempo di averne sempre meno, anche se il modello desiderato resta quello dei due figli per coppia». A causare la nascita di sempre meno bambini sono tante problematiche connesse tra loro. «Innanzitutto – aggiunge Carella – le donne in età feconda sono poche, un danno prodotto dal calo della natalità iniziato una quarantina di anni fa e che si fa sempre più serio. Diminuisce in maniera costante il numero di genitori che possono procreare. A questo si somma una situazione di incertezza lavorativa, economica ed emozionale, non dimentichiamo di essere passati attraverso una crisi economica e una sanitaria, che frena il desidero di mettere al mondo un figlio. In particolare la donna paga l’instabilità lavorativa e la mancanza di servizi».

La professoressa Carella così conclude: «È improcrastinabile mettere in campo soluzioni strutturali e definitive capaci di spingere la natalità e di evitare la crisi irreversibile della società». Accanto ai sempre meno positivi dati riguardanti nascite e tasso di natalità, altri numeri che lasciano riflettere sono appunto quelli che riguardano l’età media delle puerpere che, per il 2023, è stata di 32,5 in salita di un più 0,1 rispetto all’anno precedente. Anche in questo caso il valore pugliese è simile a quello nazionale, tra i migliori d’Italia, se è vero che le madri più giovani sono le siciliane (31,7 anni), seguite dalle campane e dalle trentine che hanno un’età media di 32,2. «Il tasso di fecondità molto basso evidenzia un inverno demografico ormai cronico - Angelo Salento, ordinario di Sociologia dei processi economici e del lavoro di UniSalento – cagionato da un malessere sociale diffuso di tipo materiale. Redditi bassi, lavori precari e sempre più scadenti, stabilità economia e sociale che arriva, quando arriva, a una età sempre più avanzata – continua - servizi sempre più carenti per un welfare pubblico che negli ultimi decenni ha subìto costanti contrazioni. Indebolito anche quello familiare, per cui la collaborazione tra genitori e nonni è sempre più complicata».

Angelo Salento rimarca come la denatalità colpisca in particolare il Mezzogiorno, in passato il vero “serbatoio” demografico del Paese, che mette al mondo sempre meno figli rispetto al Nord e dice ancora: «A frenare la natalità ci sono poi tutta una serie di fattori psicosociali. Le nuove generazioni vivono situazioni di incertezza evidente, mentre la decisione di procreare è legata alla percezione di tranquillità, serenità e di felicità. In una società altamente competitiva come quella contemporanea - puntualizza il professore di UniSalento – i genitori pensano sempre più di “investire” su un solo figlio in modo che su di lui vadano indirizzate tutte le possibilità economiche tali da garantirgli la vittoria sociale. Date tutte queste premesse – chiosa Angelo Salento – bisogna tornare a investire sulle politiche attive del lavoro e sull’implementazione dei servizi essenziali».

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