Trent'anni fa la tragedia di Imola, ecco perché Senna è il più amato di sempre

Ayrton Senna
Ayrton Senna
di Vincenzo MARUCCIO
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Mercoledì 1 Maggio 2024, 08:57 - Ultimo aggiornamento: 2 Maggio, 12:53

Ayrton Senna è stato il più grande di tutti anche se non il più vincente: tre titoli mondiali in bacheca prima della tragedia di Imola di 30 anni fa esatti. Meglio di lui Alain Prost (il rivale di sempre) con quattro mondiali e poi Michael Schumacher fino ai contemporanei e pluripremiati Lewis Hamilton e Max Verstappen. Ma non è solo questioni di numeri quando le vittorie si portano dietro qualcos’altro. Qualcosa di speciale e irripetibile tale da sbilanciare le statistiche perché ci sono dei titoli che valgono più di altri. Perchè ci sono record di pista che non possono essere paragonati ad altri. 

Senna amato da tutte le fasce sociali


Senna è stato il più grande perché lo amavano tutti come non era mai accaduto. Cresciuto nella bambagia della ricca borghesia di San Paolo, ma riconosciuto dai ragazzi più poveri del Brasile. Elogiato dai bianchi dei quartieri alla moda, osannato nelle più disperate favelas senza distinzione di classi sociali come raramente accade. Il pilota di tutti, come testimoniato dall’interminabile funerale che commosse tutti. Il campione del popolo capace di unire tutti sotto la stessa bandiera.
Senna è stato il più grande perché guidava da dio e volava sull’asfalto. Pennellava le curve, disegnava le traiettorie e sorpassava quando meno te lo aspettavi come se tutto gli venisse facile. Lui che sembrava non sbagliare una mossa, un’accelarata, una frenata come nessuno avrebbe mai più fatto e, invece, in pochi sapevano quanto lavoro ci fosse dietro.

Senna e il rapporto con Dio


Senna è stato il più grande perché credeva in Dio e ne dava dimostrazione: una fede autentica e profonda che viveva quotidianamente intriso come ne era per formazione da ragazzino e per spiritualità acquisita da adulto senza timore di vergogna. Come quando davanti a più di 500 persone in sala stampa dopo la conquista del primo titolo mondiale raccontò di aver visto stagliarsi, lì proprio dietro l’ultima curva, l’immagine di Gesù Cristo. O come quando, in occasione dell’ancora oggi insuperabile pole position di Monaco 1988, raccontò candidamente ai giornalisti di essersi sentito guidato da un’entità superiore - da Dio, diceva Senna - perché altrimenti nessuno sarebbe potuto scendere sotto il minuto e 23 secondi nel giro di pista.

Le fragilità dell'uomo con le sue passioni


Senna è stato il più grande perché la bellezza della sua corsa aveva in sè quella fragilità che ci rende umani ed è destinata, prima o poi, a sfiorire.

Uomo inquieto in cerca della pace interiore, sportivo pronto a sfidare la Velocità conoscendone i rischi mortali, ragazzino col sogno di correre più veloce del Tempo, pilota lanciato a 300 km all’ora dentro un casco per sentirsi invincibile. Timido e gentile da una parte, feroce in pista dall’altra. Senna che - come cantava Lucio Dalla - aveva qualcosa di stellare nonostante quel suo sguardo malinconico, qualcosa di luminoso nonostante il cono d’ombra di certi suoi presentimenti. Morto a soli 34 anni, ma consegnato all’eternità. Senna che, soprattutto, aveva paura ma cercava di non pensarci. E di dimenticarsene correndo più forte possibile. Non pensarci come noi facciamo ogni giorno, per le piccole cose e per i grandi sogni. Per questo, il più grande di sempre. Senna campione normale, come avremmo voluto essere. Senna campione della porta accanto. Senna come uno di noi.

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