Mencarelli in tour in Puglia: «I miei eroi pacifici e umani»

Daniele Mencarelli
Daniele Mencarelli
di Claudia PRESICCE
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 15 Maggio 2024, 05:00

I giovani hanno sete, e la letteratura, quella giusta è una fonte pura. «Hanno bisogno di recuperare il senso delle parole e sapere che le loro inquietudini sono state anche le nostre. E questo la poesia di tutti i tempi glielo dimostra. Più poesia e meno manganelli, quindi»: lo scrittore-poeta Daniele Mencarelli è in questi giorni in Puglia per presentare “Degli amanti non degli eroi” (Mondadori; 18 euro; 200 pagine) il suo ultimo lavoro composto da due poemetti. L’autore, già Premio Strega Giovani 2020 con “Tutto chiede salvezza”, sta incontrando i suoi lettori, tra cui spiccano giovanissimi che lo leggono, lo seguono e hanno amato la serie di Netflix tratta dal suo libro.

Il tour

Mencarelli sarà il 15 maggio (ore 18) al museo Diocesano di Monopoli, il 16 maggio (ore 18) alla House of Lucie di Ostuni. Venerdì, ore 19.30, al Chiostro dell’antico seminario di Piazza Duomo a Lecce. Presenta Sonia Schilardi, docente di lettere del liceo “Palmieri”, all’interno del cammino del servizio diocesano di pastorale giovanile “Re-Actions?!? Tra Reazione e Relazione”. Sabato (ore 11, sala Capone) Mencarelli sarà a Nardò.

Mencarelli, partiamo dai due poemetti dell’ultimo libro: il primo mette in versi lo sbocciare d’amore in giovanissima età e il secondo gli eroi, ma sempre d’amore si parla…

«Sì, tre grandi temi riuniscono queste due opere.

Il primo è l’amore, l’altro il coraggio dell’amore, anche se la parola coraggio il ‘900 l’ha brutalizzata: meglio dire “l’avere cuore”. Il terzo tema è il destino, perché i personaggi laterali delle due storie credono che possa esistere il miracolo, l’incredibile».

Vale la pena spiegare che gli eroi dei suoi versi non sono quelli che fanno la guerra, anzi, sono quelli che non la fanno.

«Sì, i tre soldati protagonisti sono meschini. L’eroismo vero è nel coraggio di chi soccorre. Ho sempre in mente il naufragio di Cutro del 2023, non voglio dimenticare. Penso che l’eroismo non è mai di chi abbraccia un fucile e spara, ma di chi non fa morire a cento metri dalla riva bambini con le loro madri, è di chi accorre e soccorre chi è in difficoltà. L’eroismo va visto in chiave profondamente pacifista e umana».

Quanto può fare la letteratura in un’epoca violenta come questa: violenta per le guerre, ma anche per parole aggressive contro fragilità, diversità e disabilità.

«Il Covid è stato uno spartiacque: dicevano che ne saremmo venuti fuori migliori, ma io sapevo che avevamo dimenticato anche Auschwitz. Oggi viviamo due dimensioni terribili di guerra: una con le bombe che costringe su vari fronti a vivere una dimensione maledettamente reale dei conflitti. Ma in un secondo livello, per chi dà un peso alle parole, c’è un’altra guerra che rischia di distruggere in altro senso esseri umani. Parlo della violenza delle parole, digitali soprattutto, dove qualunque contraddittorio sprofonda nel disprezzo assoluto verso l’altro. Credo che questi due livelli di conflitto siano intrecciati tra loro. Sono un unico grande livello di causa-effetto. La parola è un gesto di relazione che narra il rispetto dell’altro, le sue necessità primarie, ma senza letteratura manca questa consapevolezza profonda. È questo che la letteratura può fare, restituire alla parola il suo peso specifico».

Lei trascina i giovani a leggere, ad addentrarsi anche nei territori della poesia come nell’ultimo libro. Come fa?

«I ragazzi sono come spugne, prendono quello che gli viene dato in termini educativi. Sono stato in una scuola ieri a Foggia ed è stato bellissimo, ormai ho incontrato oltre 110mila ragazzi: li guardo e li stimo profondamente. Quello che pretendono oggi da noi adulti è una rinnovata disponibilità a ragionare con parole vecchie e nuove sui temi dell’esistenza. Li definiamo fragili, ma non è mai un problema del singolo, lo siamo anche noi. Nella poesia di tutti i tempi riecheggiano tutti i temi cari all’uomo, le sue domande, senza poesia tutto è disumanizzato. Ecco, per parlare con i ragazzi ci deve essere una volontà di incontro da parte nostra, si devono condividere le domande e le testimonianze. Dimostrare loro che è nella nostra natura la fragilità, l’inquietudine, che questi temi vanno condivisi, perché non siamo fatti per vivere in solitudine. Grandi problemi della contemporaneità nascono proprio dall’isolamento dell’uomo contemporaneo, ma le domande dell’uomo sono troppo grandi per essere vissute in solitudine. E qui ritorna prepotente la necessità e il valore della poesia oggi».

Più poesia quindi…

«E meno manganelli direi. Meno violenze e frasi fatte, meno risposte standardizzate e semplificazioni. Ogni ragazzo ha un suo mondo differente dentro e queste generazioni sono fatte da ragazzi molto migliori di me. Noi negli anni Novanta a 17 anni eravamo molto meno emancipati, consapevoli e coraggiosi, loro fanno domande e si espongono. Sono generosi. Il problema è sempre il mondo degli adulti che non sanno guardarli».

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