Rischio idrogeologico, Mario Tozzi: «Liberiamo i fiumi. Siamo rimasti fermi, ora bisogna agire»

Nel suo nuovo volume “Oltre il fango”, il ricercatore suggerisce una cura per il Paese, primo in Europa per le frane. «Non servono opere ma boschi»

Mario Tozzi
Mario Tozzi
di Valeria Arnaldi
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Mercoledì 20 Marzo 2024, 12:26 - Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 07:39

«Come diceva uno slogan d’antan, proviamo a essere veramente realisti e pretendiamo l’impossibile: una società più giusta e più naturale, senza un altro grammo di carbonio in più».

È un’esortazione chiara - e netta - quella di Mario Tozzi, geologo e divulgatore scientifico, nel suo libro Oltre il fango. Una nuova visione per uscire dal rischio idrogeologico, edito da Rai Libri. E in quello che ribattezza il “Paese del fango” - L’Italia ha il record europeo di frane: oltre 620mila su più di 750mila censite - è ora di interrogarsi, non più sulle cause, ma sulle soluzioni. Così, nel volume Tozzi parte dalla “fine”. 
E dunque, come va affrontato il problema idrogeologico? 
«Fino ad oggi, siamo andati avanti pensando che si possa risolvere in termini di opere, e, di fatto, siamo rimasti fermi. È una visione fallimentare, perdente».
Quale dovrebbe essere allora la linea da seguire? 
«La logica deve essere quella di lasciare i fiumi liberi di esondare, laddove è possibile, ma ormai non c’è più spazio neppure in campagna. I fiumi non sono canali. Il letto non è quello che si vede, è quello che si riprendono nelle piene, dunque è quella l’area da lasciare libera».
E cosa, invece, non bisognerebbe fare? 
«Non si devono innalzare gli argini, né dragare i fiumi. Ovviamente, si devono ripulire gli alvei, ma io dico che se si vede un fiume privo di alberi e canneti è bene tenersene lontani. Queste opere servono solo a dare un contentino, mostrando che si sta facendo qualcosa. Si vede più un argine di un nuovo bosco».
Si dovrebbe, quindi, aiutare la natura a riprendersi i suoi spazi?
«Sì. Bisogna liberare i fiumi, levare le opere inutili fuori dalle città. Gli esempi ci sono. L’Isar a Monaco di Baviera è stato ripulito e liberato, oggi i cittadini lo usano, ci fanno il bagno e surf. E non ci sono più alluvioni. Il tema è culturale». 
Si tende a confondere i concetti di “clima” e “meteo”, senza capire i cambiamenti e le loro cause?
«Esattamente. Il meteo però è l’espressione chiara del clima che cambia. Le cause del dissesto idrogeologico in Italia sono da ricercare nel fatto che il Paese è geologicamente attivo e giovane, ma soprattutto nel fatto che abbiamo divorato il territorio». 
Se la soluzione è “naturale”, perché non si agisce? 
«Ci sono logiche consolidate. E poi è il classico modo di pensare dei Sapiens: ci ricordiamo di figli e nipoti quando vogliamo lasciare loro delle cose, non quando si tratta di ambiente. Ciò che ci distingue dagli altri esseri viventi è l’accumulo. Nel mondo occidentale non lo sentiamo ancora ma lo facciamo sentire a chi sta dall’altra parte». 
C’è chi non crede al cambiamento climatico. 
«La logica negazionista non ha verità scientifiche, è interessata solo a fare confusione. Eppure siamo tutti sulla stessa nave che affonda. Sta succedendo ciò che accadde per le responsabilità del fumo nei casi di cancro. Si conoscevano già negli Anni Cinquanta ma alcuni scienziati furono pagati per fare confusione sul tema. La prima azienda del tabacco fu condannata dopo altri quarant’anni». 
Se la politica non agisce, i singoli possono fare qualcosa? 
«Non si può lasciare la questione all’iniziativa privata. Servono accordi internazionali. La nostra società economica non è franata sulle sue contraddizioni, come dicevano i materialisti, ma a farla cadere sarà la natura, con i limiti oltre i quali non si può andare. Se oggi le cose ancora funzionano è solo perché la maggior parte degli uomini non ha accesso a tutte le risorse». 
Come si esce da questo circolo vizioso? 
«Se ne uscirà purtroppo quando accadrà qualcosa di drammatico.

Allora sì, in piena emergenza, si farà qualcosa, perché i Sapiens sono fatti così. L’emergenza costringerà all’azione». 

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