Calcio, Giorgio Perinetti: «La tecnologia resti un supporto, quello che conta è l'uomo»

Parla il dirigente sportivo, tra i più famosi d’Italia, che è stato alla Roma, al Napoli e alla Juve:

Giorgio Perinetti
Giorgio Perinetti
di Giuseppe Mustica
2 Minuti di Lettura
Mercoledì 20 Marzo 2024, 11:11 - Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 07:43

Roma, Napoli e Juventus. Solo per citarne alcune.

Adesso è all’Avellino, in Serie C, e l’intento è chiaro: centrare la promozione. Giorgio Perinetti, 73 anni, è uno dei dirigenti italiani più apprezzati: ha iniziato giovanissimo, poco più che maggiorenne, e si è guadagnato sul campo tutto quello che successivamente è riuscito a costruirsi nel corso della lunga carriera. Ha visto milioni di partite, stadi importanti con tribune coperte e riscaldate ma anche, e soprattutto, impianti di periferia, dove se piove non hai nessun posto per ripararti e devi solamente pregare che il tempo regga. Campioni e ragazzini, grandi speranze e forti disillusioni.
Sull’IA, l’intelligenza artificiale pronta a irrompere forse in maniera definitiva nel mondo del pallone, lei ha idee ben chiare, forte di un’esperienza che pochi hanno.
«La tecnologia che ormai è in tutte le società del mondo sempre in maniera più importante, deve essere utilizzata solamente come supporto. Perché il calcio è intuizione, sensazione, visione diretta delle cose e non si può fermare a delle fredde immagini che ti arrivano sul computer». 
Può fare degli esempi?
«Certo, faccio degli esempi: Sartori al Bologna, Corvino dovunque è andato, Marchetti al Cittadella che tiene in piedi una società da diversi anni, sono tutte persone che studiano, girano, e che creano quello che tutti vediamo con il proprio occhio e con le proprie emozioni. Anche con quelle dei collaboratori che però sono scelti da loro. Un gruppo fidato che lavora allo stesso modo. E i risultati che ottengono sono lo specchio fedele di questa fatica». 
Così cosa pensa in definitiva dell’uso spinto della tecnologia che ormai sembra invadere soprattutto il mondo dello scouting?
«Utilizzare solamente la tecnologia, per me è un errore. I dati non possono essere mai completi perché ti perdi il comportamento dell’atleta, la sua voglia di emergere, il suo stato d’animo in campo, se aiuta o meno i compagni in una fase delicata della partita o se si isola non dando il proprio contributo. E questo solamente l’occhio umano lo vede. Servono le sensazioni di una persona che ne capisce, che deve andare sul posto per scrutare, intuire, prendere possesso del contesto e infine decidere». 
Insomma, bella la tecnologia. Ma fino a un certo punto. Il fattore umano non si può sostituire proprio. Parola di Perinetti.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA