La dinamica dei salari si aggrava soprattutto al Mezzogiorno, dove un dipendente su 4 riceve una retribuzione inferiore ai 9 euro lordi l’ora e la componente del lavoro a termine è a livelli «patologici». Sono le anticipazioni del report 2023 di Svimez e non lasciano purtroppo spazi a dubbi. L’istituto di ricerca offre così al già rovente dibattito nazionale ed europeo il suo consueto contributo statistico volto a innescare l’adozione di contromisure efficaci per ridurre il gap sociale tra Centro Sud e Centro Nord del Paese. E, prendendone atto, i sindacati rilanciano la propria posizione avanzando soluzioni di natura anche extra-salariale. Partiamo dai numeri. A supporto della prima constatazione (aggravamento della dinamica dei salari), Svimez evidenzia l’impatto che su di essa ha generato l’inflazione. E, citando i dati Ocse, indica «una generalizzata erosione del potere d’acquisto dei salari rispetto al pre-pandemia» che nel Mezzogiorno (-8,4%) risulta più intensa rispetto anche rispetto alla media italiana (-7,5%) per effetto della più sostenuta dinamica dei prezzi. Risultato? Se nel 2022 le retribuzioni lorde in termini reali sono di 3 punti più basse nel Centro-Nord rispetto al 2008, al Sud la flessione è assai più netta: -12. Dunque, nel Meridione si guadagna sostanzialmente meno ma «si resta anche precari più a lungo». La quota di occupati a termine sul totale dei dipendenti è pari al 22,9% al Sud contro il 14,7% del Centro-Nord. Svimez arriva a definire “patologica” la tendenza alla somministrazione di contratti a termine in questa porzione d’Italia rilevando che «quasi un lavoratore a termine su 4 è occupato a termine da più di 5 anni», ovvero «quasi il doppio rispetto al resto del Paese».
Svimez ha elaborato, nel dettaglio, una stima dei lavoratori che percepiscono una retribuzione oraria inferiore ai 9 euro lordi (comprensivi di 13ma e 14ma a seconda dei contratti) e ha scoperto che risultano circa 3 milioni di lavoratori al di sotto dei 9 euro in Italia, pari al 17,2% del totale dei lavoratori dipendenti (esclusa la Pubblica Amministrazione). Di questi circa 1 milione è nel Mezzogiorno (pari al 25,1% degli occupati dipendenti) e circa 2 milioni nelle regioni del Centro-Nord (15,9% degli occupati dipendenti). Per la segretaria generale di Cgil Puglia, Gigia Bucci, è la prova che «l’Italia cresce in modo «diseguale» a causa della «mancanza di politiche industriali che favoriscano nel Mezzogiorno investimenti nelle filiere produttive strategiche e a elevato contenuto di innovazione, in grado di contrastare anche la fuga di competenze e la desertificazione demografica». La sindacalista conferma le stime evidenziando i dati dell’Agenzia nazionale per il lavoro sull’aumento dei rapporti a termine (920mila nel 2022) e sulla loro breve durata (inferiore ai 30 giorni per 386mila). E, dopo aver evidenziato che «al Sud crescono soprattutto turismo e costruzioni, mentre industria, ricerca e sviluppo sono indietro», Bucci chiede «un chiaro disegno di politiche industriali che guardi soprattutto al Sud».
La reazione dei sindacati
Con riferimento ai salari, interpellato, il segretario di Cisl Puglia, Antonio Castellucci, afferma: «Serve, ma facciamolo con i contratti come ci indica l’Ue.