Decarbonizzazione anticipata della centrale Enel “Federico II”, sindacati infuriati: «Il territorio non conta niente»

Il vecchio carbonile scoperto
Il vecchio carbonile scoperto
di Francesco TRINCHERA
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Mercoledì 1 Maggio 2024, 05:00

I sindacati di Brindisi chiedono che l’eventuale uscita dal carbone anche prima del 2025, con la chiusura della centrale Federico II, si accompagni ad investimenti concreti per i lavoratori locali e sollecitano risposte da Enel. L’ipotesi di chiusura anticipata è stata avanzata dal ministro per l’Ambiente e la Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, in occasione del G7 tematico a Venaria Reale, in provincia di Torino e, per le organizzazioni sindacali, si inserisce in una riflessione più ampia sul Primo maggio.

Mancanza di alternative

Gianfranco Solazzo della Cisl prende della proposta, «tuttavia – incalza - saremmo appagati se la soddisfazione con cui si intende, come Italia, essere i primi della classe, venisse corroborata da contestuali alternative, frutto della concertazione sociale, al sistema produttivo esistente, come anche dalle rassicurazioni sul futuro dell’attuale bacino occupazionale diretto e dell’indotto». Per la Cisl «Brindisi è territorio che merita grande considerazione, avendo dato tanto al paese in termini di sicurezza energetica e avendo pagato un prezzo non da poco dal punto di vista ambientale e di coesione sociale».

Solazzo chiede anche maggior rispetto per «attese e speranze di lavoratrici e di lavoratori il cui unico reddito familiare dipende da quel sistema produttivo, avendo consapevolezza delle ricadute negative conseguenti ai continui annunci sulla chiusura di Cerano».

La filiera dell'eolico offshore

In questo senso, il sindacalista ricorda il recente convegno “Sviluppo del Territorio, tra crisi e opportunità”, in cui sono state lanciate proposte in merito, come quella offerta dal dl energia sulla «individuazione di due aree portuali del mezzogiorno, con i relativi specchi d’acqua, destinate a infrastrutture di cantieristica navale, a fini di produzione, assemblaggio e varo di piattaforme galleggianti, per l’eolico offshore, forti anche dell’emendamento con cui sono state proposte le aree portuali di Taranto e di Brindisi». A questo si unisce l’appello alla sinergia tra queste due stesse province, così come si era proposta proprio la chiusura posticipata della Federico II, «ai fini della sicurezza energetica nazionale e valida alternativa alla perdita secca della connessa occupazione». Partendo proprio dall’accordo in sede G7 che prevede l’uscita dal carbone entro il 2035, «a maggior ragione l’Italia, laddove sono in gioco sistemi produttivi e bacini occupazionali importanti, non deve autopunirsi determinando un conseguente dramma sociale che Brindisi non può sostenere». L’appello di Cisl va ad istituzioni, politica e la stessa Enel, perché «si faccia fronte comune, evitando rigidità che non comporterebbero benefici ambientali e meno che mai sociali».

L'immobilismo degli ultimi anni

Per Antonio Macchia della Cgil la possibile chiusura anticipata della centrale Federico II «mette in luce l'assenza di un intervento adeguato da parte del governo nella gestione della decarbonizzazione. Da otto anni si conosce la necessità di dismettere la centrale ma non sono stati realizzati gli interventi, gli investimenti, né sono state rilasciate le autorizzazioni indispensabili per una transizione che salvaguardi l'occupazione». La Cgil lamenta la mancanza di un piano concreto e di risorse sostenibili, che possono causare una desertificazione economica e sociale e si dice «profondamente preoccupata per questa mancanza di visione e pianificazione, che rischia di lasciare i lavoratori senza protezioni adeguate». L’organizzazione sindacale, in questo senso, chiede al governo un intervento urgente con azioni concrete.

La richiesta: posticipare i tempi

Anche Fabrizio Caliolo della Uil ricorda un recente evento in cui era stato chiesto di posticipare la chiusura della Federico II «al fine di poter programmare, per tempo e con la giusta visione, il futuro di un impianto che per Brindisi rappresenta molto più di un nodo di produzione elettrica» ma si ripercuote sul lavoro di molte famiglie. Caliolo mostra disappunto perché la notizia di un probabile anticipo della chiusura non sia arrivato tramite il canale istituzionale o delle organizzazioni sindacali, «come se chi rappresenta a vario titolo il territorio di Brindisi non contasse molto nelle decisioni da prendere; come se le istituzioni locali fossero coinvolte nella vertenza Enel non più di qualsiasi comune cittadino; come se il parere e le conseguenze di chi vive, conosce ed amministra il territorio non potessero influenzassero di un millimetro le strategie decise a priori a Roma e Bruxelles».

L'incertezza degli investimenti

Pur dicendosi a favore della transizione energetica, per Caliolo questa non può avvenire «senza una parallela transizione sociale ed economica». Uil critica l’atteggiamento di Enel, che sembrerebbe non volere «investimenti seri, credibili e significativi per il post carbone», vedendo invece «progetti nebulosi e da definire; progettualità che se fossero realmente portate in essere non impiegherebbero nemmeno un decimo della forza lavoro attuale in essere nel distretto di Cerano». Caliolo, perciò, lamenta l’assenza di istituzioni come la Regione, «forse impegnata a ricucire equilibri politici interni mentre Brindisi è abbandonata a se stessa» o la Provincia ed il Comune, «per anni interlocutori privilegiati di accordi di “compensazione con il territorio” circa l’impatto della centrale Enel sul territorio». Anche per questo, Uil chiede che «la rete dei rappresentati istituzionali per far sentire la voce di Brindisi sui tavoli che decidono il futuro di questa terra».

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