Omicidio Angeletti a Tarquinia, Cesaris confessa: «Ho sparato io, è stato un gesto folle»

Il racconto: «Stavo male, gli ho chiesto di aiutarmi. Poi quel discorso in macchina...»

Claudio Cesaris e (a des.) Dario Angeletti, la vittima
Claudio Cesaris e (a des.) Dario Angeletti, la vittima
di Giorgio Renzetti
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Sabato 11 Dicembre 2021, 15:31 - Ultimo aggiornamento: 12 Dicembre, 09:25

«Mi ha detto quella cosa e ho perso la testa, ho tirato fuori la pistola e ho sparato. Ma è stata una cosa improvvisa, ero fuori di me e non capivo cosa stesse accadendo». Claudio Cesaris, 68 anni, ha risposto questo al giudice che gli chiedeva come fossero andate le cose, martedì scorso, nel parcheggio delle Saline a Tarquinia. Quale fosse la “sua” versione sull’omicidio di Dario Angeletti, 50enne professore associato all’Università della Tuscia, trovato senza vita all’interno della sua auto. «Ma non lo conoscevo nemmeno», ha aggiunto.

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Per Cesaris, tecnico dell’ateneo pavese in pensione, ieri è scattato l’arresto, con misura cautelare in carcere per omicidio volontario. È ancora nel reparto detentivo dell’ospedale di Viterbo: le sue condizioni di salute, per il diabete, sono ancora precarie e non compatibili con una cella. La richiesta della Procura di Civitavecchia - è competente per territorio, anche se di provincia diversa - ha avuto l’accoglimento dal giudice per le indagini preliminari Savina Poli. La quale aveva ascoltato l’indagato la mattina di venerdì e che però non ha convalidato il suo fermo, disposto dai carabinieri del comando di Viterbo in coordinamento con il pm titolare Alessandro Gentile. Perché? Difficile parlare di incrinature nel poderoso fascicolo messo insieme dagli inquirenti in poche ore (sono oltre 150 pagine) per dare un nome all’assassino del prof.
 

 

LA RICOSTRUZIONE
L’ordinanza della gip che dispone l’arresto per Cesaris del resto contiene “la confessione”. Stabilisce che l’ex ricercatore lombardo non si era trasferito casualmente nel Viterbese. Sì, aveva interessi specifici per l’ornitologia e la migrazione dei volatili, scattando decine di foto come martedì scorso lì alle Saline (area protetta e sito specialistico per quest’attività). Ma la richiesta di arresto spiega anche e soprattutto che Cesaris era arrivato a Viterbo perché voleva riallacciare una relazione, finita da anni, con una studiosa pavese 39enne da due anni trasferitasi all’Unitus. Una ricercatrice impegnata nello stesso dipartimento di Scienze biologiche del professor Angeletti. Una non coincidenza che spalanca le porte al movente della gelosia che acceca.
La domanda è scontata, è quella su cui potrebbe incardinarsi un possibile processo per omicidio: perché quel giorno Cesaris era lì? Stava aspettando Angeletti perché sapeva del rapporto professionale tra la donna e il docente e sospettava che ci fosse qualcosa di più? «Non lo conoscevo - ha risposto al gip – e non l’ho mai seguito, era la prima volta che lo vedevo.

Quel giorno ero nell’area delle Saline dal mattino, io faccio 10-15 chilometri al giorno e sono rimasto lì a scattare foto agli uccelli e all’ambiente. Poi dopo le 13 ho avuto un malore». Cesaris spiega così l’incontro «del tutto casuale» con la vittima: ha un calo glicemico e inizia a barcollare, va verso la sua auto ma non è in condizioni di guidare, dice. Poi vede la Volvo di Angeletti e la ferma, chiede aiuto, è sconvolto.

È a questo punto che prende forma la tragedia. Sempre secondo il racconto del pensionato, Angeletti lo fa sedere nella sua auto, sul sedile di dietro, per andare in ospedale. I due scambiano poche parole: «Ho detto che venivo da Pavia e che lavoravo in università, così è venuto fuori che conosceva Anna (nome di fantasia, ndr) perché erano nello stesso dipartimento. Non mi ha detto di una relazione tra loro, ma io ho capito che intendesse parlare non bene di lei... Allora non ho capito più nulla, ho preso la pistola e ho sparato alla testa». Un colpo solo, due? Non si sa. Questa la versione descritta da Cesaris, che ribadisce più volte che non aveva preparato l’agguato, non era lì per incontrare Angeletti: «Non lo avevo mai visto prima».

LA PISTOLA
Dopo lo sparo l’auto della vittima, senza controllo, finisce nel prato. Qui Cesaris riesce a fermarla, scende e va a prendere la sua auto. Inizia così un giro infinito «senza sapere dove andare», durante il quale perde l’orientamento. Ma soprattutto mentre si sposta getta via l’arma, una pistola di piccolo calibro. Dove? Non ricorda, i carabinieri dalle tracce Gps del suo telefonino cercano il percorso per rintracciarla. Finora senza successo. Altra domanda scontata: perché quel giorno Cesaris aveva la pistola? «Volevo gettarla via, ho il porto d’armi ma quella non era denunciata. Pensavo di gettarla in mare...». Proposito che non ha messo in pratica quella mattina in cui ha girovagato per l’area protetta delle Saline, che ospita anche i laboratori di biologia marina in cui studiava la vittima. E dove spesso si recava per lavoro anche la sua ex. 
Nella difesa legale dell’indagato, assunta già dall’avvocato Andrea Fabbio di Viterbo, ieri è stato affiancato un secondo professionista fiorentino su incarico della famiglia Cesaris.
 

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