Un professore italiano fa rivivere al Cairo la città segreta dei dervisci mevlevi

Un professore italiano fa rivivere al Cairo la città segreta dei dervisci mevlevi
Un professore italiano fa rivivere al Cairo la città segreta dei dervisci mevlevi
di Rossella Fabiani
7 Minuti di Lettura
Lunedì 12 Ottobre 2020, 16:14

Le piramidi, la sfinge, il grande museo delle antichità egizie, le viuzze dell’antico bazar di Khan-el-Khalili, le imponenti moschee o l’immancabile cena sul battello lungo il Nilo. Il Cairo per milioni di turisti che l’hanno visitata è questo. E non è poco. Ma non è tutto. Perché nella storia di questa città non ci sono soltanto le vestigia faraoniche, le dinastie imperiali ottomane o le antichità copte. Una delle altre facce del Cairo si trova nella stradina Shari Es-Suyufiyya, vicino alla moschea di Sultan Hassan ai piedi della Cittadella, nel quartiere di Hilmiyah, dove un italiano, dal 1978, in diverse campagne di scavo e di recupero, ha riportato alla luce un vasto complesso monumentale che comprende il palazzo Qusun-Yashbak-Aqbardi, la madrasa (la scuola coranica) di Sunqur Sa’di, il mausoleo di Hasan Sadaqa, la Sama’Khana (il teatro dove i dervisci mevlevi eseguivano la loro rituale, vorticosa, danza circolare) e la Tekeyya (il convento).

Autore del recupero di questo tesoro, sommerso per anni nel mare di polvere e di macerie del Cairo, è un professore italiano: Giuseppe Fanfoni, architetto e restauratore, che, come a volte succede nelle imprese straordinarie, ha lavorato nell’indifferenza di chi - soprattutto in patria - dovrebbe sostenere e finanziare simili progetti. I primati di questa impresa sono tanti. Il professor Fanfoni ha creato un cantiere-scuola, il Centro italo-egiziano per il restauro e l’archeologia (Ciera), dove giovani artigiani, tecnici e operai egiziani hanno migliorato le loro capacità tanto che gli è stata concessa un’onorificenza dall’Unione degli archeologi arabi. E negli ambienti culturali si sussurra che il nome del professor Giuseppe Fanfoni sia stato proposto anche per un Nobel.

Così nel cuore della Cairo Mamelucca, Giuseppe Fanfoni, che è professore di metodologie e tecniche di restauro, scoprì nell’ormai lontano 1976 - grazie alla segnalazione di Carla Maria Burri all’epoca direttrice appassionata e competente del locale Istituto italiano di cultura - in uno stato di totale degrado, il teatro dei dervisci danzanti, la cosiddetta Sama’ khana (sala dell’ascolto dell’armonia del cosmo). La Sama’ khana faceva parte di uno dei più vasti complessi monumentali del Cairo - abbandonato dal 1945 - comprendente la Tekeyya (il Convento) dei dervisci Mevlevi, la Madrasa (la scuola coranica) di Sunqur Sa’adi, il mausoleo di Hasan Sadaqa e il Palazzo Qusun-Yashbak-Aqbardi (i nomi sono quelli dei proprietari che lo hanno posseduto e, via via, ampliato).

In quest’area di oltre 10mila metri quadrati il principe Sunqur Sa’adi, dedito al sufismo e alle arti, aveva fatto costruire nel 1315 la madrasa con un “ribat” (un ospizio per orfane, vedove e anziane) e anche il mausoleo per la sua sepoltura. Sunqur Sa’di era un “nakib” (rappresentante) dei sultani mamelucchi e aveva fondato anche un villaggio con una moschea e un mulino che esistono ancora oggi a metà strada tra il Cairo e Alessandria. Il desiderio di Sunqur Sa’di di essere sepolto nel mausoleo che si era costruito non fu, tuttavia, realizzato per i contrasti sorti con il primo proprietario del grandioso palazzo confinante, l’emiro Qusun, molto vicino al sultano Ibn Qala’un. Così, la sua splendida tomba venne utilizzata a distanza di anni dallo Sheikh Nasr el-Din Sadaqa e da suo nipote Hasan Sadaqa dal quale il mausoleo prende il nome attuale. Questo mausoleo è caratterizzato da un minareto che presenta un “hilal” (l’ornamento apicale) di forma assolutamente inconsueta: un copricapo di derviscio invece della tipica mezzaluna che domina tutti gli altri minareti.

Dopo la conquista ottomana, il complesso monumentale venne donato nel 1607 alla confraternita dei Dervisci Mevlevi; quando l’Ordine era al suo acme. I Mevlevi - al tempo - ricavarono dal complesso un insieme architettonico che descrive il loro stile di vita: l’area cultuale con la Sama’khana e il Mausoleo, l’area della vita monastica nelle celle che circondano il giardino, l’area delle attività giornaliere in comune e l’area pubblica con gli ambienti di ricevimento dei pellegrini.

Prima però di giungere a questo elevatissimo grado di influenza politica e religiosa, i Mevlevi avevano già alle spalle una lunga storia che comincia nel  XIII secolo in Turchia, nella città di Konia, dove visse e morì il fondatore dell’Ordine, proveniente dal Khorasan (Afghanistan), Jalal al-Din Rumi, considerato fra i più grandi poeti mistici di tutti i tempi e paragonato a San Francesco per l’elevato grado di sensibilità e di ecumenismo (ai suoi funerali partecipò l’intera popolazione di Konia, non soltanto i musulmani, ma anche cristiani ed ebrei in riconoscimento dello spirito di fratellanza del maestro).

LA VICENDA

Molte personalità di rilievo aderirono all’Ordine, favorendo l’espansione dei Dervisci nel mondo islamico fino alla penetrazione in Egitto.

Ma la svolta importante arriva quando Rumi formalizza in modo definitivo il rito da lui creato in occasione della scomparsa dell’amico e maestro, Shamsi Tabriz. Un rito che ha reso celebre nel mondo la peculiarità filosofico-religiosa dei dervisci: il Sama’, una complessa danza circolare in senso antiorario originata dall’ascolto del “suono cosmico” e inscritta in uno specifico spazio architettonico di cui proprio l’ottocentesca Sama’ khana del Cairo è l’ultima e più alta rappresentazione.

“La Sama’ khana del Cairo - dice Fanfoni - documenta la massima espressione dei simbolismi geometrici e cosmologici che definiscono le funzioni e le proporzioni dello spazio architettonico in cui avviene la danza mistica dei Mevlevi, e fu l’ultima a rimanere in funzione anche dopo lo scioglimento delle confraternite dei Dervisci con l’editto di Ataturk del 1925”. E che oggi - a dispetto dell’incuria del tempo e degli uomini - rivive grazie al lavoro paziente dello studioso italiano.

Ma non soltanto la Sama’ khana è potuta tornare all’antico splendore. In diverse campagne di scavo e di recupero, il professor Fanfoni ha infatti restaurato anche la scuola coranica di Sunqur Sa’di, (la madrasa del XIV secolo), il mausoleo (la tomba di Hasan Sadaqa dello stesso periodo) e la Tekeyya ovvero il “convento” dei Dervisci Mevlevi che si è sviluppato a partire dal XVI secolo, nell’area intermedia fra i resti della madrasa di Sunqur’Sadi e il palazzo Yashbak adattando quanto era utilizzabile dei preesistenti edifici. Attraverso una complessa opera d’ingegneria e di alto artigianato, dopo interventi di scavo e di consolidamento sulle parti strutturali, gli antichi edifici sono stati restaurati con sistemi innovativi e, dove possibile, con l’impiego di materiali originali. L’opera più difficile è stata quella dello sbarramento dell’umidità che aggrediva i muri. Con un taglio alla loro base, grazie a una apposita lama, è stato possibile creare uno spazio dove inserire uno strato impermeabile facilmente sostituibile quando questo si deteriora nel tempo. Oggi rimane ancora da recuperare una parte del palazzo Qusun-Yashbak-Aqbardi. L’area del palazzo si è formata tra il XIV e il XVI secolo grazie ai tre proprietari che si sono succeduti: l’emiro Qusun, che era il coppiere del sultano Ibn Qala’un, l’emiro Yashbak e per ultimo l’emiro Aqbardi, ognuno dei quali ha ampliato la struttura originaria. La parte che rimane da restaurare è quella edificata dall’emiro Yashbak che è la più estesa.

Il recupero di questo tesoro unico ha avuto anche un riconoscimento davvero speciale. In Turchia, dove nel 2007 si sono tenute le celebrazioni per gli 800 anni della nascita del poeta mistico Rumi, il filosofo e astronomo Hossein Nasr, che è uno dei più importanti studiosi di mistica sufi, davanti a una platea di politici e intellettuali, ha ricordato che “la più bella Sama’ khana si trova al Cairo ed è stata recuperata e restaurata dal professor Giuseppe Fanfoni”. Un caso di eccellenza che in Italia molti ignorano, ma che comincia a raccogliere i suoi meritati riconoscimenti. Al Centro è stata infatti conferita una medaglia in bronzo del Senato della Repubblica per il valore del lavoro svolto. Ma, soprattutto, nel 2012 è stato firmato un importante accordo con il ministero degli Esteri egiziano che ha trasformato il Centro fondato da Fanfoni in una Ong che permetterà al professore di poter collaborare con i vari ministeri egiziani come pure con le istituzioni straniere per i futuri programmi di lavoro. Perché il progetto per il restauro di palazzo Yashbak è già pronto e il professor Fanfoni non vuole lasciare la sua opera senza il sigillo finale.

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