Covid, il caso Perugia monito per l'Italia: «Perché l'effetto varianti è così pericoloso»

Fortunato Bianconi
Fortunato Bianconi
di Fabio Nucci
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Domenica 14 Febbraio 2021, 08:07 - Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 12:26

PERUGIA A guardare l’evoluzione del modello epidemiologico, a fine gennaio l’Umbria sembrava non aver applicato alcuna restrizione. Invece, con la zona arancione, il parametro d’intervento, la stima dell’effetto delle misure rispetto all’evoluzione naturale dell’epidemia (senza misure) avrebbe dovuto almeno al 20%. È stato il campanello d’allarme lanciato da Fortunato Bianconi, presidente di Umbria Digitale e componente del Cts regionale, rispetto alla presenza delle varianti del SarsCov2. Contro le quali, le decisioni prese, stanno fornendo i primi segnali, mentre un altro modello predirà l’impatto della vaccinazione sull’epidemia.

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Ingegner Bianconi, cosa è successo nel modello a fine mese?
«Ho notato una variazione nella modalità di propagazione del virus, una specie di scalino legato al parametro d’intervento che dal 28% (al 6 gennaio) è passato allo 0,1%. Un segnale della diversa diffusione del virus, anche rispetto a ricoveri in salita. Per chi fa modelli queste variazioni così alte indicano sempre qualcosa: è stato un campanello di allarme».
Poteva essere previsto prima tale effetto?
«A me chiedono di prevedere e questo modello lo abbiamo sempre utilizzato. È stato utile per far calibrare le dimensioni ospedaliere ma come dico spesso, non c’è il modello perfetto, ma quello che aiuta a prendere decisioni».
La situazione è compatibile con una zona rossa regionale?
«Dovremo capire nei prossimi giorni quanto l’attuale zona rossa produca effetti. Qualche indicazione sulla riduzione di quello scalino c’è già nelle stime, segno che stiamo andando in una direzione di contenimento. La prossima settimana lo vedremo meglio, ma non si può pensare di allentare le misure, al massimo di mantenerle. La vera sfida, viste le varianti, è capire se quanto si fa adesso è abbastanza rispetto alla condizione di partenza. Che è molto diversa da quella di ottobre e non riguarda solo l’Umbria: aspetto sottovalutato».
Si riferisce ai territori vicini?
«Sono quelli più esposti. Noi siamo stati un campanello d’allarme e per quanto si vede in giro, anche rispetto ai dati di altri ospedali, queste due varianti già circolano in tutto il Paese, non solo in Umbria».
In che misura?
«Abbiamo trovato le varianti il 9 gennaio ma per capire le origini del contagio dobbiamo tornare indietro di almeno 20 giorni, periodo nel quale ci siamo mossi tutti. Questo prima della “finta zona rossa” natalizia, quando ci siamo mossi dentro le case. Questo vuol dire che le varianti c’erano anche prima e l’Umbria potrebbe anticipare di due settimane quanto poi accadrà, forse in modo più attenuato, nel resto del Paese, considerando che abbiamo zone confinanti gialle».
Si sta andando nella direzione giusta?
«Aver reagito è già positivo, più si ritarda peggio è. Nella seconda ondata, l’Umbria è partita per prima e questo ci ha dato un vantaggio nella discesa, altrimenti la curva sarebbe cresciuta molto di più. Allora, il modello ci ha aiutato ad anticipare alcuni interventi (tenendo basse le ospedalizzazioni) anche se in un clima di grande agitazione. Il virus si contiene con le limitazioni e a maggior ragione in presenza di varianti che accelerano la diffusione».
Oggi l’emergenza sono i ricoveri.
«Grazie al modello abbiamo cercato di calibrare il fabbisogno di posti letto nelle terapie intensive. È questo lo scopo anche perché gli unici dati con cui tali modelli si possono calibrare contemporaneamente sono ricoveri e decessi, uniche variabili legate tra loro. La misura del tampone non lo è allo stesso modo: proviamo a fare stime anche su questo ma modelli come Rt inseguono la capacità del tracing che oltre certi numeri non è più significativa come informazione».
Pensa di studiare anche l’effetto delle vaccinazioni?
«Sto lavorando a un modello per capire quanto, coi tempi attuali di somministrazione, impattino sull’epidemia.

Ma oltre al personale sanitario e categorie fragili, dobbiamo incidere sugli over 65 che sono tanti. L’importante è avere le dosi: questa è l’unica vera criticità. In due giorni abbiamo già “impegnato” quelle delle prossime due settimane per immunizzare un nono della popolazione».

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