PERUGIA - Nessuna responsabilità di operatori e sanitari del 118 e nessuna responsabilità dei medici che lo hanno curato, prima in Malattie infettive e poi in Terapia intensiva. Queste, secondo le prime indiscrezioni, le risultanze della relazione sull'esame autoptico sul corpo di Stefano Brando, il medico di famiglia morto di coronavirus lo scorso 19 novembre, il primo in Umbria.
Dopo l'esposto della famiglia, la procura di Perugia, a firma del procuratore aggiunto Giuseppe Petrazzini, aveva aperto un fascicolo per omicidio colposo contro ignoti e affidato a un collegio di consulenti tecnici nominati insieme procuratore capo Raffaele Cantone (Antonio Oliva, Vincenzo Arena e Andrea Arcangeli) l'autopsia su Brando. Un esame importante non tanto per stabilire le cause della morte, individuate immediatamente negli organi in sofferenza dopo la grave polmonite bilaterale che hanno portato all'arresto cardiaco, ma per rispondere ai quesiti della procura sulle eventuali responsabilità sulle tempistiche del ricovero prima e del trasferimento in Terapia intensiva poi. Tanto che Petrazzini aveva chiesto ai Nas di conoscere anche lo stato di occupazione dei posti letto in ospedale in quei drammatici giorni. E nella lunga relazione consegnata in procura nei giorni scorsi, gli esperti hanno escluso qualsiasi responsabilità in capo ai sanitari del 118 come ai professionisti che lo hanno avuto in cura nelle tre settimane in cui Brando ha lottato strenuamente contro il virus.