Covid, in Umbria isolato primo caso di variante Xe

La professoressa Antonella Mencacci, direttore del dipartimento di Microbiologia dell'ospedale di Perugia
La professoressa Antonella Mencacci, direttore del dipartimento di Microbiologia dell'ospedale di Perugia
di Fabio Nucci
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Venerdì 15 Aprile 2022, 16:37 - Ultimo aggiornamento: 16 Aprile, 03:15

PERUGIA Un investimento di oggi che guarda al domani e al post-Covid. Il sequenziatore Illumina è nel laboratorio di Biologia molecolare di Oncologia medica, al Centro di ricerca emato-oncologica (Creo) del Santa Maria della Misericordia, e ora entrato a regime anche nella lotta al Covid, per le analisi genetiche del SarCov2. Ogni settimana consente infatti di mappare un gruppo di campioni da tutta la regione, facendo il punto sulle varianti. L’ultimo risultato, ottenuto autonomamente dall’equipe composta dalle professoresse Antonella Mencacci e Roberta Spaccapelo, riporta di una prevalenza Omicron 2 e di un sospetto caso Xe.
Entrato da alcuni mesi nel Creo, il sequenziatore ha fatto raggiungere importanti risultati. «Grazie al sequenziamento – spiega Vienna Ludovini, responsabile del laboratorio di Biologia molecolare dell’Oncologia medica – possiamo scoprire le varianti nel sangue e vedere se esistono mutazioni che possono essere ereditate. Nel tumore della mammella abbiamo individuato il gene della predisposizione alla malattia». Un investimento da circa 100mila euro ora anche al servizio della Microbiologia per lo studio delle varianti dei virus. «I risultati non dipendono più da altri e, quindi, arrivano prima», spiega la professoressa Mencacci, responsabile del laboratorio dell’ospedale di Perugia. «Una capacità che ci rende indipendenti su tutti i microrganismi: in microbiologia sequenziare è fondamentale per studiare un patogeno, specie quando è raro e quando è grave». Come accaduto con le varianti brasiliana e Delta del Covid. «Aver implementato questo sistema per tutta la regione significa aver fatto un grande salto di qualità dal punto di vista culturale e tecnico», aggiunge Mencacci.
Il sequenziamento prevede varie fasi e solo alla fine c’è l’analisi del genoma: la prima è la selezione dei campioni. «Nelle flash survey la scelta è casuale per vedere se c’è una variante nuova – spiega Mencacci – mentre nella quotidianità si scelgono campioni di casi gravi, reinfezioni o infezioni di vaccinati. Poi, c’è l’estrazione del Rna, il genoma del virus che va trascritto in Dna affinché sia “letto” e amplificato dal sequenziatore». Un processo sempre garantito dal laboratorio ospedaliero che impiega circa mezza giornata, dopo di che interviene la fase “inedita” per l’Umbria. «Il genoma del SarsCov2 non può essere sequenziato direttamente – aggiunge la professoressa Spaccapelo, associato di Microbiologia all’UniPg – perché nonostante sia piccolo rispetto al genoma delle cellule umane è costituito da circa 30mila paia di basi che amplifichiamo in circa 98 segmenti che rappresentano i geni che compongono il genoma del virus. Estratto il materiale genetico dal virus, i frammenti sono amplificati». Una fase propedeutica al sequenziamento di seconda generazione che consente di analizzare più campioni contemporaneamente. «Aggiungiamo degli adattatori, che permettono di legare i frammenti in una flow cell per il sequenziamento, e degli indici, che consentono di distinguere i frammenti che derivano da ogni singolo paziente – aggiunge Spaccapelo - perché sequenziamo il Dna di tanti pazienti messi insieme». Così, si compone la “libreria” genetica che viene caricata nel macchinario dove ha luogo un altro livello di amplificazione. «Ogni frammento è sequenziato migliaia di volte per essere certi che una mutazione sia effettivamente legata a una nuova variante e non ad errori della tecnologia. Lo strumento è in grado di sequenziare ogni singolo frammento e alla fine del processo tutti i dati grezzi sono trasferiti in un cloud dove un software consente di riunire tali segmenti, ricostruire il genoma del virus, paragonare la sequenza dei campioni analizzati con quella del genoma “one” del SarsCov2, identificando le varianti presenti. I campioni sono quindi classificati secondo le varianti note o nuove».
Un processo che parte il martedì con l’arrivo in laboratorio dei campioni da ospedali e distretti regionali. «Il mercoledì prepariamo le library, le carichiamo nel sequenziatore e dopo circa 30 ore, il venerdì mattina, abbiamo i risultati a disposizione», aggiunge Spaccapelo. «Nell’arco di tre giorni possiamo avere un’idea di quante e quali varianti circolano nel nostro territorio», aggiunge Mencacci. Un’attività che prescinde dalla flash survey Iss-Ministero. «Questa mattina (venerdì, ndr) abbiamo i risultati di questa settimana con una prevalenza di Omicron BA.2 al 90% – spiegano Mencacci e Spaccapelo - con la BA.1 che sta quasi scomparendo». L’esito deriva dall’analisi di 10 campioni da Città di Castello, altrettanti da Terni e Spoleto, 20 da Perugia. «Di solito ne analizziamo più di quanto chiesto a livello nazionale per avere una maggiore copertura del territorio: siamo intorno ai 50-60 campioni a settimana ma potremmo anche salire se la situazione dovesse richiederlo». Intanto, un approfondimento dei risultati ottenuti ieri, ha evidenziato un sospetto caso di variante “Xe” in uno dei campioni analizzati negli ultimi giorni. «La situazione resta sotto controllo – ha spiegato l’assessore regionale Luca Coletto – considerando che, se confermata, tale variante non muta lo scenario regionale presenta caratteristiche simili alle Omicron».

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