La sofferenza di un ragazzo autistico. «Per mio figlio, uscire di casa è vivere»

Eugenio si dà da fare in casa con il bricolage sotto gli occhi del suo cane Full
Eugenio si dà da fare in casa con il bricolage sotto gli occhi del suo cane Full
di ​Nicola SAMMALI
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Martedì 24 Marzo 2020, 19:18
«La mattina, quando esco a fare la spesa, vedo sempre le stesse persone che fanno finta di niente, sedute sulle panchine attaccate l’una all’altra, senza rispetto per nessuno, e allora penso alle crisi isteriche di mio figlio e non posso accettarlo». L’egoismo e l’incoscienza che racconta Giuseppe Maluberti, il papà di Eugenio, non è soltanto un atto di accusa verso chi anche a Talsano, dove vivono, continua a non rispettare le regole nel pieno della pandemia e del lockdown, ma è soprattutto un modo per parlare di autismo e delle difficoltà che stanno attraversando a causa delle limitazioni per la diffusione del coronavirus. «La nostra vita, mia e di mia moglie Giusy, ruota tutta attorno alle sue attività: Eugenio è un ragazzo dinamico - dice Giuseppe -, frequenta il secondo anno di superiori al liceo artistico Calò, è un atleta del gruppo Delfino, un’associazione sportiva che a Taranto si occupa di ragazzi con disabilità intellettiva, ma oltre al nuoto fa anche atletica leggera e musicoterapia, alla Heart’s music di Adriana Parisi. Dal lunedì al venerdì la sua vita è frenetica, ma in questa situazione, costretto a stare in casa, il contraccolpo per lui è stato davvero forte: noi in qualche modo cerchiamo di tenerlo impegnato, ma non è facile per tutta la giornata». Eugenio ha 15 anni, è un ragazzo autistico con un’enorme forza di volontà, e come tutti in questo periodo soffre il cambiamento delle proprie abitudini. «Lui era abituato a stare fuori tutto il giorno, non si fermava mai. Ora il tempo deve scorrere nella maniera più semplice e armoniosa possibile, quindi sia io che mia moglie cerchiamo di organizzarci: abbiamo la fortuna di avere un pezzo di giardino a casa, e così stiamo facendo dei piccoli lavori artigianali, sistemando mobiletti e sedie. Mia moglie, prima che scoppiasse questa bufera, ha pensato bene di comprare una latta di pittura e insieme a Eugenio hanno cominciato a carteggiare e ridipingere. Siccome la mattina è il primo a svegliarsi, dopo la colazione lui è già al lavoro». Poi nel pomeriggio si dedica ai compiti, e agli amici delle associazioni che frequenta, mentre il suo Labrador, che si chiama Full, gli è sempre vicino. «La sua insegnante di sostegno ogni tanto gli fa una videochiamata, in modo da tenere vivo il legame. Eugenio ha creato dei gruppi su whatsapp, per non sentire troppo il distacco: quando ci sono queste problematiche - spiega Giuseppe - occorre ammorbidire il distacco tra la vita che faceva e quella che fa oggi». La scuola è la cosa che gli manca di più. «Spesso ci chiede: “quando riapre”?». La sera, invece, prima «di ascoltare la musica con le cuffiette, o di giocare con il cellulare o con la sorellina», Eugenio «guarda il telegiornale perché si aspetta da un momento all’altro il comunicato di Conte per il via libera». E per questo ha segnato sul calendario la data del 3 aprile: conta i giorni perché vuole tornare fuori». La sua vita è scandita in maniera precisa. Ma «sarei un ipocrita - ammette Giuseppe - se dicessi che durante la giornata non ci sono momenti di crisi: ogni tanto capita che quando è sotto stress si metta a piangere, ci chiede quando si ritorna alla vita normale, perché se l’è vista cambiare totalmente e non è semplice da sopportare. Ora l’ha un po’ metabolizzata. Per questo credo che il sacrificio dobbiamo farlo tutti per uscire il prima possibile da tutto questo». La reclusione forzata «ci deve far capire quanto è preziosa la normalità della vita, che è fatta di tante belle cose. Abbiamo raggiunto dei traguardi importanti con Eugenio, ma non dimentico quello che abbiamo vissuto in passato: Eugenio a 6 anni non parlava, scalciava a scuola, ora invece è un ragazzo autonomo, fa attività sportive. Se abbiamo superato momenti bui, trenta giorni chiusi in casa non sono davvero niente», rimarca Giuseppe, che dedica al figlio tutto il tempo che gli è possibile. «Penso alle famiglie che hanno ragazzi che vivono situazioni ben diverse da quelle di Eugenio: vorrei che il messaggio che arrivasse è che ci sono realtà a Taranto, anche se sono poche, dove i ragazzi come mio figlio possono partecipare alle attività. Ci dà ossigeno e coraggio. E questo può cambiare la loro vita».
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