Manuel Bortuzzo va al Gf Vip: «Voglio mostrare in tv come vive un disabile»

Manuel Bortuzzo: «In tv la mia seconda vita, voglio il Grande Fratello per mostrare come vive un disabile»
Manuel Bortuzzo: «In tv la mia seconda vita, voglio il Grande Fratello per mostrare come vive un disabile»
di Elena Filini
5 Minuti di Lettura
Domenica 31 Gennaio 2021, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 13:04

«È evidente, la gente non sa come avvicinarsi alla disabilità - dice Manuel Bortuzzo -  C’è un imbarazzo che noi percepiamo al volo. Ci sono persone coraggiose che stanno rompendo questo muro. Una su tutte, Bebe Vio. Ma credo che dovremmo fare di più. Un’idea pazza? Entrare nella casa del Grande Fratello. Così tutta l’Italia capirebbe cos’è davvero vivere ogni singolo giorno con la disabilità. Cosa vuol dire alzarsi, vestirsi, fare le cose minime. Non dobbiamo mica sempre suggerire la stretta al cuore. Bisognerebbe anche imparare a ridere dei nostri limiti. Noi lo facciamo, e questo in parte ci salva la vita». 


Lo dice d’un fiato. Suo padre, Franco Bortuzzo, lo guarda e sorride. Manuel sta prendendo confidenza con la televisione. Ha capito la potenza del mezzo. Come ogni sabato ieri era a ItaliaSi!, trasmissione pomeridiana di Rai1.
A Quinto di Treviso, intanto, l’altra parte della famiglia (mamma Rossella vive a Treviso con i 3 fratelli di Manuel) sta finendo di costruire una nuova casa. «Sono felice, lì ci sono le mie radici. Ma non penso di lasciare Roma. E in futuro spero di poter fare un’esperienza di vita all’estero. Sono affascinato soprattutto dagli Stati Uniti».


Due anni da quella notte maledetta. Tra il 2 e il 3 febbraio. In cui stava per tornare a casa, ma si è attardato per accompagnare Martina, la fidanzata dell’epoca al distributore di sigarette, ed è stato colpito alla schiena da due proiettili in piazza Eschilo, Roma Sud.


«Cerco di farmi scivolare addosso anche l’anniversario. Non è un giorno particolare, non esco listato a lutto. Sto con i miei amici, e tutto passa. Anche perché da una cosa tremenda ne sono nate anche tante belle».


Tra lei e suo padre Franco c’è un clima da commilitoni...
«Noi non siamo come le donne. Quando uno ha la giornata storta, si vede subito. Quindi ognuno sta nei suoi appartamenti e poi ci vediamo a tavola».

Come procedono le cure?
«Vediamo miglioramenti ogni giorno grazie alla fisioterapia, e siamo sempre molto attenti a quel che succede intorno a noi, pronti a cogliere tutte le possibilità offerte dalla scienza e dalla ricerca. Ma ho smesso di angosciarmi con l’idea costante di riprendere a camminare. Lo vorrei e ci sto lavorando, ma non mi do più scadenze. Se accadrà sarà stupendo, se non accadrà a 2 anni dalla sparatoria posso dire che ho trovato un mio benessere anche così».


Come si sente adesso?
«Come uno che ha fatto tantissima strada, che ha aperto la propria mente, che si è trasformato. Quello che mi è successo è ovviamente una tragedia, ma mi ha aperto anche grandi porte di meraviglia. Ho scoperto il lato buono delle persone, mi sono misurato con me stesso e con le mie paure. E credo di essere una persona migliore».


Che ruolo hanno avuto i suoi genitori in tutto questo?
«Senza la mia famiglia nulla di ciò che è avvenuto sarebbe stato possibile.

Io non sono uno da grande manifestazioni o smancerie. Credo che il miglior ringraziamento sia quello di stare bene, di lavorare sodo, e di comportarmi bene. Nel mio piccolo desidero essere anche per gli altri un esempio di positività».

 


Con Bebe Vio che rapporto ha? Provenite entrambi da Treviso...
«Io sono nato a Trieste e poi mi sono trasferito con la famiglia, lei è di Mogliano. E siamo finiti entrambi a Roma! Ci sentiamo senza problemi, sono anche entrato in contatto con la mamma di Bebe per l’associazione Art4Sport. Lei è una matta coraggiosissima, ha fatto più il suo Rising Phoenix per il nostro mondo di mille convegni o conferenze».


In una recente intervista, Raoul Bova ha raccontato la nascita di una grande amicizia con lei: è così?
«Sì, al di là della mia partecipazione al suo film “Ultima Gara”, noi ci capiamo, c’è empatia, e ci vogliamo bene. Lui viene con sua moglie Rocio e le bimbe a casa nostra a Roma e noi andiamo da loro».


È vero che faceva il mago nelle feste?
«Si. Ho imparato su YouTube. Ero anche riuscito a raggiungere un livello discreto: ero il beniamino delle feste dei bambini verso i 15 anni. E così mi guadagnavo qualche soldo. Ma la cosa più bella era vedere la loro espressione di stupore e gioia».


Ultimamente, dal cilindro è uscito Manuel Bortuzzo personaggio televisivo. Una sorpresa.
«Il primo ad essere sorpreso sono io. Sono sempre stato un timido. Direi che continuo ad esserlo nei rapporti vis a vis. Però davanti alla telecamera ogni timore mi abbandona. Credo che proprio da questa naturalezza sia nata l’idea di avermi ospite fisso di ItaliaSi!».


Come funziona il format?
«Il programma, condotto da Marco Liorni, è uno spazio libero, dove persone comuni raccontano avvenimenti importanti della loro vita, eventuali problemi o denunce. Ci sono ospiti fissi che rappresentano i diversi target di telespettatori, che si confrontano su temi di attualità o storie. Insieme a me quest’anno Elena Santarelli e Rita Dalla Chiesa. All’inizio non sapevo bene cosa aspettarmi, ma andare a braccio vedo che mi riesce bene. Visto che la Rai mi ha riconfermato, ogni sabato sono a Saxa Rubra a registrare».


Ma è in questo contesto che le è venuta l’idea del Grande Fratello o è solo una provocazione?
«Le due cose insieme. Ne parlavo a pranzo un giorno con mio padre e l’ho un po’ buttata lì. Poi però riflettendoci non credo sia una proposta così peregrina. La forza del Grande Fratello è proporre i personaggi nella propria quotidianità. Questo implica pregi e difetti, limiti e risorse. Oggi in Italia si parla molto di disabilità. Grazie a storie straordinarie, come quella di Bebe e di Alex Zanardi, lo sport paralimpico, ad esempio, sta godendo di sempre maggiore attenzione. Tuttavia nelle relazioni quotidiane le persone non sanno davvero come trattare con noi. Talvolta hanno anche difficoltà ad avvicinarci, a entrare in contatto fisico con noi. Io credo che mostrando cosa significhi quotidianamente vivere la disabilità si romperebbe questo muro. E quindi lancio la provocazione: vediamo se qualcuno la raccoglierà».

© RIPRODUZIONE RISERVATA