L'ambasciatore dello spazio, Jeffrey Manber: «In orbita per portare la pace sulla Terra». Lo storico accordo Usa-Russia. Il vescovo sull'Iss. Video

L'ambasciatore dello spazio, Jeffrey Manber: «Verso lo spazio per portare la pace sulla Terra» - Lo storico accordo Usa-Russia
L'ambasciatore dello spazio, Jeffrey Manber: «Verso lo spazio per portare la pace sulla Terra» - Lo storico accordo Usa-Russia - Video
di Paolo Ricci Bitti
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Lunedì 14 Dicembre 2020, 17:35 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 03:21

A Jeffrey Manber, di New York, mancano solo le “ali” da astronauta: per il resto ha svolto ogni ruolo possibile, e inammaginabile, nella corsa allo spazio, compreso quello di scrittore di successo (“Selling Peace”). Fra i primi a individuare possibilità di business per i privati nel settore spaziale, creatore del primo equity fund spaziale quando la terminologia “space economy” nemmeno esisteva, è l’unico statunitense ad avere tenuto contatti costanti fin dagli anni Ottanta tra Usa e Urss-Russia coordinando lo storico progetto Mir-Shuttle negli anni Novanta alla fine dei quali allestì la MirCorp, società privata con fondi americani e con la Rsc Energia russa, per gestire in proprio la stazione spaziale ex statale Mir a fine esercizio: un'esperienza che aiutò anche la cooperazione per la stazione spaziale internazionale Iss. Sua anche la regia del viaggio del primo turista spaziale, Dennis Tito.

Attualmente è ceo di NanoRacks, compagnia privata che in questi giorni ha installato il primo modulo privato di servizio sull’Iss. Ha appena partecipato all’expoforum New Space Economy organizzato da Fondazione Amaldi e Fiera di Roma con la collaborazione dell’Agenzia spaziale italiana.

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Paolo Ricci Bitti

Di New Space Economy si parla appunto da poco, mentre lei ne scriveva già negli anni Ottanta. Lo stesso vale per l’alleanza fra gli stati quale unica chiave per la conquista dello spazio. E persino il suo ultimo successo sulla stazione spaziale internazionale, il modulo Bishop Airlock, sembra anticipare la serie cult Netflix, The Queen's Gambit: come fa a leggere nel futuro?

«(risata) Grazie, ma in realtà non lo so, forse ho una grande immaginazione unita a un passione per lo spazio - risponde Jeffrey “Jeff” Manber da Washington D.C.

mentre un cane molto affettuoso gli fa compagnia - Fui sorpreso quando oltre 40 anni fa il New York Times pubblicò i miei primi articoli sulle opportunità di business anche per i privati nelle situazioni di microgravità. Erano anni in cui la corsa allo spazio, dopo la fase grigia seguita alle missioni Apollo, stava ripartendo grazie al programma Shuttle. A ogni modo la questione degli scacchi è davvero divertente».

A lei l’apertura, prego.

«Per il nuovo modulo destinato alla stazione spaziale internazionale, ovvero il primo modulo privato agganciato all’Iss, la Nasa mi aveva bocciato “Bishop” perché non riteneva più accettabili gli acronimi, considerati poco accattivanti e moderni».

Acronimi?

«Già, ma allora ho spiegato che quel modulo innovativo, realizzato dalla Nanoracks che dirigo, era stato battezzato così per la sua grande mobilità da una parte all’altra della stazione spaziale, mobile esattamente come l’alfiere (Bishop, nei paesi anglofoni) degli scacchi. E così la Nasa ha capito. E all'inzio di novembre l’arrivo del “Vescovo” sull’Iss grazie alla navetta di SpaceX, altra impresa privata».

Che giocate permette questo alfiere spaziale?

«Intanto c’è il significato simbolico di questo modulo che rappresenta la prima “proprietà privata” sulla stazione internazionale. Immaginate una campana, realizzata anche con l’aiuto della Thales Alenia Space a Torino, con una capacità di quattro metri cubi che può essere spostata da un airlock (portellone) all’altro della struttura grazie al braccio robotico, il Canadarm. Può servire per spostare materiali, per lanciare piccoli satelliti, per ospitare esperimenti, per garantire lassù extraspazio che nello spazio non deve mai mancare. Possiamo anche immaginarlo come il primo pezzo (gli scacchi che ritornano) di una futura stazione privata».

Lei sul tema “privati” nello spazio insiste da sempre, ha persino creato il primo pionieristico equity fund a tema spaziale, ma fino a pochi anni fa lo spazio era una questione per un ristrettissimo club di potenze nazionali, sia pure sostenute dalla grande impresa statale o privata. Ora invece, trainati da mogul quali Musk, Bezos e Branson, è tutto un fiorire di imprese private che garantiscono in autonomia l’intera filiera Terra-spazio. E la New Space Economy galoppa nei fatturati.

«Era solo questione di tempo perché lo spazio, formidabile frontiera di cui l’uomo da sempre esploratore non può fare a meno, offre infinite opportunità di sviluppo, di progresso, di conoscenza e naturalmente anche di business. Molti, come me, speravamo da anni nell'arrivo di questi privati visionari e sognatori nel settore dello spazio, in grado di seguire nuove vie, e anche in maniera più rapida degli enti governativi, per mettere a punto progetti e imprese. E po se ci pensa tutte le conquiste dell'esplorazione hanno richiesto la combinazione di sognatori amanti dell'avventura e di coloro che negli Stati Uniti definiamo “hard nose businessman”, amanti degli affari che non sono facili. Certo che la determinazione di personaggi come Elon Musk è fortissima così come la coerenza. Da quando si è affacciato sulla scena dello spazio non ha fatto che ripetere di avere un obbiettivo: Marte. E nel frattempo ha messo in piedi una grande attività aerospaziale dimostrandone la redditività grazie ad innovazioni che gli hanno fruttato contratti e commesse anche con grandi enti governativi. Adesso siamo anche alla vigilia del nuovo turismo spaziale che sarà aperto a tanti».

Già, un’altra delle sue intuizioni, nel 2001 c’era lei dietro Dennis Tito, il primo degli 8 turisti da allora in orbita sull’Iss.

«Sì, il biglietto era un po’ caro (25 milioni di dollari, ndr) ma ora i prezzi scenderanno. Chissà che non faccia un viaggetto anch’io: quando ho lavorato con i russi ho cercato di convincerli a mandarmi in orbita, ma non hanno ceduto. Ora, francamente, non so per quanto tempo lavorero ancora in questo settore ma magari un volo suborbitale lo farò ma non perché sono attratto dalle esperienze adrenaliche, sono un businessman non uno che si mette a cavallo di un razzo: sono invece molto attratto dalla vista della Terra, the Blue Dot (il puntino blu), da quell'altezza, dal poter restare affascinati dalla curvatura del pianeta. Vedremo. Epperò devo dirle una cosa su questo nuovo turismo spaziale».

Prego.

«Non c'è dubbio che il mercato dei viaggi in orbita abbia enormi potenzialità, ma al tempo stesso, quando – molto presto – i voli suborbitali saranno alla portata di tanti, mi chiedo che ne sarà dei possibili sviluppi di questo settore, forse i più interessanti. Mi spiego, presto sarà possibile mettersi sul petto le ali da astronauta (finora dal 1961 le hanno avuti in 566, ndr) impegnando poco più di una settimana del proprio tempo e spendendo mettiamo 300mila euro. Non per tutti, ma per molti. E magari facendo anche due chiacchiere con Sir Richard Branson (Virgin Galactic, ndr) e con Jeff Besoz (Amazon e Blue Origin, ndr). Una prospettiva allettante: raggiungere con un breve volo quota 100 chilometri e ammirare la meraviglia della Terra. Poi può essere pure che i prezzi calino. A quel punto quanti saranno disposti a spendere, mettiamo 15 milioni di dollari, e ad addestrarsi per alcuni mesi per trascorrere un periodo sulla stazione spaziale internazionale attuale o in una nuova, magari privata, vivendo un'esperienza di un altro livello? Ci sono già aziende che offrono questa possibilità, ed è vero che con queste cifre il numero degli interessati si restringe, ma poi bisogna vedere che sarà della sostenibilità di questo business che dovrebbe attirare sia chi cerca solo “Fun and games” (divertimento e gioco) sia chi cerca qualcosa di più».

Forse però non era solo il business a guidarla negli Ottanta e Novanta mentre faceva da ponte a progetti spaziali fra Stati Uniti e Urss-Russia. Lei, per 17 anni una specie di ambasciatore fra le due sponde, architettava missioni assai futuristiche nello spazio che prevedevano strette alleanze, mentre a terra le due superpotenze si guardavano digrignando i denti. Che emozione quando a metà degli anni Novanta lo Space Shuttle a stelle e strisce attraccava alla stazione russa Mir (Pace, mentre gli Usa progettarono la stazione Freedom, libertà, ndr) e fra astronauti e cosmonauti in orbita era tutto un “Prego, venite avanti” e “Uh, che bella vista da qui”.

«È una questione di rispetto delle culture e anche delle tecnologie: americani e russi, dietro i toni nazionalistici, avevano di fatto gli stessi obbiettivi nella corsa allo spazio, fra i quali anche di ricavare profitti da queste attività, la Russia prima ancora degli Stati Uniti».

Razzo Space X di Elon Musk esplode nell'atterraggio

Il presidente J.F. Kennedy, se si rileggono il discorso sulla Luna del 1962 e l’intervento all’Onu dell’anno dopo, era pronto a offrire a Nikita Kruscev - in quegli anni di guerra fredda - l’alleanza per raggiungere insieme la Luna. E il leader sovietico era forse pronto ad accettare. Poi l’attentato di Dallas e l’uscita di scena di Kruscev allontanarono questo formidabile scenario.

«Che però è diventato piena realtà in seguito sia con il programma Mir-Shuttle sia, soprattutto, con la stazione spaziale internazionale che da 20 anni vede insieme Usa, Russia, Europa, Giappone e Canada e con la partecipazione di tantissimi altri paesi, L'Italia, poi, non manca mai di stupirmi con le sue aziende aerospaziali e con i suoi astronauti che sono di esempio per tutti. Lo dico io, che ne incontrati, e lo dicono anche tutti gli astronauti americani e i cosmonauti russi con cui sono in contatto. L'Iss è un esempio magnifico di cooperazione internazionale che dà frutti determinanti per il nostro avanzamento non solo tecnologico».

Non solo...

«Guardi, sono più che convinto di ciò che ripetono tutti gli astronauti: vedere la Terra da lassù rende l’uomo migliore. Andare nello spazio è costoso, rischioso, complicato e richiede forte ingegno: torneremo sulla Luna, andremo su Marte, enti statali e privati, ma soprattutto, dovremo essere insieme, equipaggio di un pianeta che dall’alto non mostra alcun confine fra nazioni. Lo spazio offre questa entusiasmante prospettiva di unire le forze, penso anche alla Cina e all’India, per raggiungere mete sulla via del progresso dell’umanità. Questa terribile pandemìa di Covid ce lo sta insegnando: la soluzione richiede l’impegno di tutti».

In nome dello spazio sta vendendo la pace, come il titolo del suo best seller “Selling peace” del 2010 in cui racconta luci e ombre delle relazioni spaziali-commerciali-politiche fra Usa e Russia, con pregi e difetti dei due mondi alla fine uniti in orbita?

«Nella pace grazie allo spazio credo davvero e da sempre provo a promuoverla».

Eppure i russi finora restano fuori dalla nuova stazione spaziale internazionale Lunar Gateway.

«È molto triste, ma spero che ci ripensino anche grazie all’amministrazione Biden che potrebbe, mi auguro, riaprire il dialogo anche con la Cina e altri paesi. Non so che cosa farà il nuovo corso con il progetto Artemis per il ritorno dell'uomo sulla Luna: con Obama si indicava il 2028, con Trump addirittura il 2024, ora non so, forse il programma verrà in parte rivisto perché la situazione economica è quella che è. L'importante è che l'approccio non sia ideologico, ma aperto alla cooperazione internazionale che spero riguardi anche altri temi importanti come il cambiamento climatico».

Ma come vanno tenuti i rapporti con i russi? A visitare il glorioso ma polveroso cosmodromo di Bajkonur, ora in Kazakistan, da cui partì Gagarin, o il museo aerospaziale Lavochkin, alle porte di Mosca, si resta ammirati e meravigliati dai brillanti risultati raggiunti nonostante l'uso di materiali e tecnologie che appaiono, almeno a prima vista, assai più arretrati di quelli occidentali.

«Sì, fa quell'effetto, ma poi se si conoscono bene i russi l'ammirazione sale ancora di più perché dimostrano da sempre genialità in ogni circostanza, con una magnifica capacità di raggiungere l'obbiettivo in maniera semplice ed efficace. E non dimentichiamo una questione importantissima: sono state le loro Soyuz a portare su e giù le persone dalla stazione spaziale internazionale dal 2011, quando lo Shuttle andò in pensione, ai mesi scorsi, quando è entrata in servizio la Crew Dragon. E' tuttavia un momento non facile per loro il settore spaziale che amo per la continua capacità di innovazione seguendo strategie e risorse che non sempre l’occidente valuta con il giusto rispetto. Senza dimenticare un leader russo almeno ufficialmente non deve mai mostrare dipendenza da altri paesi. Ecco, ai russi non va mai detto che cosa devono fare o non fare, ma poi, ascoltandoli e rispettandoli, un accordo si trova sempre».

Di tutte le decine di miglia di spin off delle imprese spaziali che hanno migliorato la nostra vita ce n'è uno che le piace più degli altri?

«Difficile, sono davvero tantissimi e in ogni campo delle nostre attività, ma se devo dirne uno mi viene in mente il Gps e per un motivo preciso: qualche anno fa ero in Italia, nord Italia, e mi ero perso una zona bellissima, con tanti piccoli paesi. Ma ero in ritardo per un convegno in una città che non avrei mai trovato senza la voce di quella gentile signorina che mi ha guidato. Ve lo immaginate il mondo di adesso senza il gps?».

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