Twitch, arriva il #nostreamday: il primo sciopero degli streamer che chiedono diritti ad Amazon

Twitch, arriva il #nostreamday: il primo sciopero degli streamer che chiedono diritti ad Amazon
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Martedì 8 Dicembre 2020, 15:43 - Ultimo aggiornamento: 16:27

Si sono organizzati su Twitch, nelle chat su Whatsapp e su Discord. Hanno cercato di coinvolgere più streamer possibili in modo che l’impatto della mobilitazione fosse concreto e il messaggio arrivasse direttamente a chi ogni giorno lavora sulla piattaforma. Cinquanta streamer hanno deciso di metterci la faccia firmando un documento condiviso, che poi nel corso dei giorni ha preso il nome di Manifesto, indicendo pubblicamente il primo sciopero degli streamer di Twitch. Tra i firmatari, figurerebbe anche Fedez, grande appassionato di videogiochi. 

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Il #nostreamday è un’iniziativa che nasce da un sempre più evidente malcontento dei partner e degli streamer di Twitch in merito alla regolamentazione e al suo utilizzo sulla piattaforma. Il #nostreamday si articolerà in una giornata di sciopero durante la quale gli streamer non andranno in live e gli spettatori partecipanti non entreranno su Twitch. Con queste dichiarazioni, pubblicate su “Il Manifesto degli Streamer”, cinquanta giovani hanno deciso di mobilitarsi sinergicamente per prendere posizione contro determinate scelte intraprese dalla piattaforma Twitch ai danni dei performer che la utilizzano quotidianamente. 

Twitch è una piattaforma di live streaming di proprietà di Amazon. È stata lanciata nel 2011 e consente principalmente lo streaming di videogiochi, ed è diventata leader del settore. Nel 2018 Twitch ha contato circa 15 milioni di utenti attivi al giorno e circa un milione di utenti online a qualsiasi ora, più delle reti televisive americane CNN e ESPN.
Il Manifesto elenca i punti nevralgici che gli streamer firmatari vorrebbero portare ad un tavolo di confronto con il board di Twitch, augurandosi che queste richieste “non vengano lette come un attacco rivolto a Twitch, ma come una chiara e indiscutibile richiesta d’aiuto”, scrivono. 

Il documento è stato firmato da numerosi streamer, molti dei quali diventati celebri per il loro lavoro sulla piattaforma, tra cui Mr Marra, Mr Flame, Ivan Grieco e Homyatol.
«Questa mobilitazione nasce in seguito ai recenti avvenimenti ai danni di un collega, che nei giorni scorsi è stato bannato in maniera permanente dalla piattaforma». L’idea dello sciopero virtuale, in linea con il periodo storico assai turbolento che stiamo vivendo come Paese a causa del Covid-19, nasce dopo che un noto streamer - Sdrumox -  ha ricevuto da parte di Twitch un “Permaban” (ban perenne).



Sdrumox era stato bannato lo scorso prima dell’estate senza che però gli venisse specificata una data chiara per l’eventuale ritorno online del suo canale. Dopo 6 mesi, in cui il twitcher ha aspettato a vuoto che gli fosse chiarita la sua posizione, la piattaforma controllata da Amazon ha deciso di comunicare la notizia peggiore che uno streamer possa ricevere: «sei stato bannato per tempo indeterminato».

 

«Sia chiaro» - scrivono gli autori del Manifesto - «non stiamo contestando il ban, che è legittimo, bensì la modalità con il quale è stato perpetrato. Non è pensabile bannare uno streamer inizialmente per 6 mesi per poi comunicargli, al termine della scadenza, l’allontanamento perenne dalla piattaforma. Allontanamento che, chiaramente, prevede l’interruzione dell’attività lavorativa su Twitch e la conseguente impossibilità a tornare ad utilizzare il proprio canale.

Riteniamo che sei mesi di attesa siano inconcepibili visto che stiamo parlando di un’attività che per noi è una professione a tutti gli effetti», spiegano. 

«Le modalità con cui Amazon - proprietaria della piattaforma su cui lavoriamo tutte e tutti noi - valuta chi, in che modo e per quanto bannare uno streamer è assolutamente discrezionale», aggiungono. «Il problema, infatti, è che in questo modo il rischio di errori nel giudizio, da parte di chi si fa carico della decisione, può essere frequente. Gli streamer inciampano spesso in errori involontari, ma questi potrebbero essere tranquillamente evitati se ci fosse maggiore chiarezza e maggiore trasparenza». 

Le critiche al ban perenne sono diverse e i firmatari le chiariscono punto per punto. Innanzitutto, i twitcher chiedono che una sanzione così dura debba essere motivata, considerando anche il fatto che la piattaforma impedisce allo streamer bannato di recarsi in luoghi dove i suoi colleghi, non bannati, stanno effettuando una live in presenza. «Non è più tollerabile il fatto che la piattaforma metta a repentaglio anche i rapporti umani. Come si può pensare che uno streamer bannato non possa nemmeno recarsi in luoghi dove i suoi colleghi stanno effettuando una live? Quindi, non solo lo streamer perde il suo canale, ma anche la possibilità di comparire vocalmente o in video in qualsivoglia live altrui. Chiediamo di ridiscutere questa norma, considerando il fatto che una scelta di tale portata può comportare un vero e proprio tracollo psicologico», chiariscono nel Manifesto.

I firmatari hanno voluto sottolineare anche quali sono i motivi per cui un ban non può essere messo in discussione: «Nudità o pornografia, violenza, incitazione all’odio o razzismo non devono trovare alcuno spazio sulla piattaforma». Gli streamer chiedono a Twitch di poter discutere anche del tema legato alla poca chiarezza nelle regole. «Le regole della piattaforma sono essenzialmente delle linee molto ampie e generiche di comportamento, il che rende difficilissimo circoscrivere i casi specifici». E ancora: «Una regola o vale per tutti o non vale per nessuno, lavorare in queste condizioni è davvero difficile. Chiudere un profilo ha delle conseguenze serie: danni economici, possibile perdita del lavoro e della credibilità». Oppure di poter avere maggiori informazioni sulla questione legata al vestiario: «E’ capitato a più streamer di essere “sanzionati” per aver indossato alcuni capi considerati “sessualmente espliciti”. Ma è anche capitato che gli stessi indumenti, indossati in giorni diversi da altri streamer durante le live, non venissero considerati in questo modo». 

La politica ancora non sembra aver preso a cuore la battaglia dei partner di Twitch. L’unico che si è espresso in merito è il giovane ventenne candidato sindaco di Roma, Federico Lobuono, che sul suo profilo Facebook ha spiegato che «è giusto esprimere solidarietà ai vari streamer in sciopero, soprattutto dopo aver letto le motivazioni che li hanno spinti a chiedere maggiori delucidazioni sui comportamenti e sulle regole da seguire. E’ giunto il momento che anche sul web e soprattutto sulle piattaforme streaming nascano delle regole precise, perché - citando Antonio Gramsci - in questo chiaroscuro nascono i mostri. La Giovane Roma sostiene lo sciopero». 
“Il Manifesto degli streamer e delle streamer” si conclude con una citazione del noto giornalista del The Washington Post, Bob Woodward:  «Democracy dies in darkness». Un giornale non scelto a caso visto che l’editore è proprio Jeff Bezos, proprietario di Amazon e quindi anche di Twitch.

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