Robot, il prof Bruno Siciliano: «Prepariamoci agli avatar per i lavoratori specializzati e ai cobot al servizio in casa»

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di Cristian Fuschetto
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Mercoledì 17 Febbraio 2021, 12:36 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 16:25

C'è stato un momento in cui hanno avuto la meglio persino sui meme di gattini e sugli apotropaici saluti di addio a un 2020 finalmente in congedo. Nei primi giorni del nuovo anno Atlas, Handle e Spot hanno impazzato sulle note di “Do you love me” lungo le inesorabili sequele di inoltri dei gruppi Wathsapp. Come in un “Dirty dancing” per androidi, gli esemplari di punta della scuderia della Boston Dynamics hanno coreograficamente mostrato quello che la robotica è diventata. «Non solo, hanno mostrato quello che la robotica promette di diventare», precisa Bruno Siciliano, ordinario di Controlli e Robotica all’Università di Napoli Federico II, past president della Ieee, la società internazionale di Robotica, nonché autore insieme a Oussama Khatib, docente della Stanford University, dello “Springer Handbook of Robotics”, bibbia del settore su cui continuano a formarsi generazioni di ingegneri in tutto il mondo. «Far muovere corpi in quel modo richiede molta ma molta più capacità di calcolo che compiere operazioni matematiche o risolvere algoritmi complicatissimi», spiega. Tra ingegneri, appassionati e nerd del settore è celebre il paradosso di Hans Moravec, secondo cui è infinitamente più semplice ottenere da un computer il livello di prestazione di un adulto in un test di intelligenza, che non simulare la capacità di un bambino di un anno quando afferra un giocattolo.

LE APPLICAZIONI

L’intelligenza nasce dal corpo ed è per questo che i robot rappresentano la chiave di volta (anche) per la comprensione della mente. «Anassagora diceva che l’uomo è il più intelligente degli animali perché ha le mani», sottolinea Siciliano, che insieme al suo team oltre a droni, chirurghi bioispirati e robot “pizzaioli”, ha sviluppato di recente anche  Prisma Hand, una mano antropomorfa in grado di afferrare e manipolare oggetti da utilizzare come protesi su pazienti amputati. «Nel mio contributo alla Treccani ho definito la robotica come la connessione intelligente tra percezione e azione proprio per sottolineare la sintesi tra cervello e azione fisica e forse è anche per questo che quando ho visto quei robot ballare in quel modo un po’ mi sono stranito anch’io». Atlas è uno dei robot umanoidi più evoluti al mondo, alto 175 centimetri, pesa 82 chili e grazie a un sofisticato sistema elettrico e idraulico salta ostacoli, effettua backflip da ginnasta, rimane in perfetto equilibrio anche se costretto a camminare su terreni irregolari e, se pure dovesse cadere, saprebbe come rialzarsi. Handle si muove su due ruote, può trasportare carichi di qualunque tipo ed è diventato il re della logistica nei magazzini di tutto il mondo. Spot è un quadrupede, evita ostacoli di ogni genere ed è richiestissimo per il monitoraggio dei cantieri, soprattutto di quelli più pericolosi. «La robotica in ambiente ostile è senz’altro tra gli ambiti più in crescita e, a pensarci bene, con la pandemia le esigenze non avrebbero potuto che aumentare: oggi tutto è diventato ostile, l’emergenza sanitaria ha reso pericolosi luoghi che fino a poco tempo fa erano considerati sicuri. La robotica può aiutarci a transitare dal paradigma dello smart working a quello del physical smart working.

Prepariamoci ad avatar robotici cui trasferire le abilità professionali di operatori specializzati».

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L’EVOLUZIONE

Collaboratori dell’uomo, i robot del XXI secolo non sembrano poi essere così diversi, almeno nello spirito, da quelli immaginati da Karel Capek, giornalista e drammaturgo ceco, autore di “Rossumovi Univerzální Roboti”, l’opera in cui compare per la prima volta la parola “robot”, presentata al pubblico di Praga esattamente 100 anni fa. Sono rimasti fedeli all’idea del dottor Rossum, che nel racconto di Caperk crea esseri semiumani da impiegare nei lavori pesanti in modo da liberare l’umanità dalla fatica. Certo, la forza bruta si è evoluta, i robot oggi non sono più in gabbie protette come i loro “nonni” progettati negli anni ’50 da George Devol. I robot ora lavorano gomito a gomito con gli uomini, dalle fabbriche sono usciti da un pezzo per entrare nel più leggero mondo dei servizi, li abbiamo utilizzati come chirurghi, infermieri, receptionist, badanti e anche terapeuti. Paro, per esempio, è un robot con sembianze antropomorfe e da anni viene utilizzato con successo come facilitatore delle interazioni tra bimbi autistici e terapisti. Questi robot interagiscono, comprendono esigenze, soddisfano bisogni, intercettano stati d’animo e possono generane di nuovi nei loro interlocutori.

IL MERCATO

Come quelli immaginati un secolo fa sono creature al nostro servizio, ma a differenza dei “roboti” sono diventati più intimi e lo saranno sempre di più. «In gergo li chiamiamo cobot, robot cooperativi, e molto presto saranno nelle nostre case con la stessa familiarità e pervasività di computer e telefoni. Così come oggi si spendono 1.000 euro per uno smartphone, presto si spenderanno 1.000 euro per un robot. La scommessa sarà vinta quando anche i robot più complessi saranno interamente plug&play. Google e Amazon stano facendo investimenti colossali in questo settore», commenta Siciliano, responsabile tra l’altro del Piano nazionale della Ricerca per la robotica approvato lo scorso 15 dicembre dal governo. La robotica è un settore economico strategico: il mercato italiano della robotica è il settimo a livello mondiale e il secondo in Europa, dietro alla Germania. «Se qualcosa dotato di autonomia crescente si inserisce nei nostri spazi di lavoro, di divertimento, negli ambiti domestici, in quelli sanitari e assistenziali – conclude il professore – quel qualcosa cambia inevitabilmente il nostro modo di concepire l’interazione tra noi e il mondo, cambia il nostro modo di vivere». Gli uomini creano i robot, i robot cambiano gli uomini.

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