Formula Luna: Audi, Nissan e Toyota progettano le auto per muoversi sul satellite

Formula Luna: Audi, Nissan e Toyota progettano le auto per muoversi sul satellite
di Nicola Desiderio
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 16 Marzo 2022, 17:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 09:25

Riparte la corsa all’esplorazione di altri corpi celesti e trovano sempre più spazio i veicoli per muoversi al suolo, elettrici e senza pilota.

Nel sogno di portare l’uomo nello spazio, sulla Luna e sugli altri pianeti c’è sin dall’inizio anche quello di permettergli di muoversi sul loro suolo per esplorarlo. Wernher Von Braun lo aveva ben chiaro sin dagli anni ’50 e, quando il padre delle modera missilistica iniziò a lavorare al progetto della Nasa per portare l’uomo sulla Luna, pensò che la missione dovesse comprendere due razzi: uno per l’equipaggio e l’altro per i mezzi da trasporto. Quando il 30 luglio 1971 l’Apollo 15 arrivò sul nostro satellite naturale, la situazione fu ben diversa: il primo mezzo lunare viaggiò a pezzi insieme all’equipaggio e, una volta assemblato, sembrava un’auto che qualche buontempone aveva prelevato all’inizio della catena di montaggio per farne il proprio giocattolo: un telaio con un 4 ruote, due sedili in fettuccia, un ombrello capovolto come antenna e altre apparecchiature sistemate (apparentemente) alla bell’e meglio. Alla Nasa lo chiamavano LRV (Lunar Roving Vehicle), i profani lo ribattezzarono “moon buggy”. Era lungo 3 metri e aveva 4 motori elettrici da 200 Watt, ognuno alloggiato all’interno di ogni ruota, tutte capaci di sterzare, ma non c’era volante bensì un joystick a T. La batteria, sdraiata in basso, era allo zinco-argento a 36 volt e composta da 25 elementi con una capacità di circa 4,3 kWh. Sulla Terra, visto il peso di 210 kg, non sarebbe stato capace di muoversi, ma sulla Luna pesava 34 kg, raggiungeva 12 km/h e superava pendenze del 30% portandosi due astronauti, le attrezzature e i campioni di roccia. In 3 missioni, i LRV percorsero in tutto 90 km perché la batteria permetteva di percorrere meno di 40 km e, per giunta, non era ricaricabile. Furono realizzati da un consorzio capeggiato dalla Boeing composto da 21 aziende tra cui la General Motors che è dunque la prima casa automobilistica ad essere arrivata sulla Luna e ad avere permesso la mobilità umana sulla sua superficie. E finora è anche l’ultima perché dopo il 1972 sul nostro satellite naturale sono arrivati solo mezzi “unmanned”, ovvero a guida autonoma o teleguidati a distanza.

SUL FILO DI LANA

In questo l’Unione Sovietica aveva battuto il LRV di qualche mese facendo arrivare il 17 novembre 1970 il Lunokhod 1 (passeggiatore lunare, in russo), una sorta di piccolo carrarmato a forma di pentola con il coperchio sollevato. Era più lento (velocità massima di 4 km/h), ma poteva ricaricare la batteria con i pannelli solari. Percorse circa 10 km e mezzo prima di perdere il contatto con la Terra il 14 settembre 1971 mentre spetta al suo successore Lunokhod 2 nel 1973 il record di percorrenza sulla superficie di un astro terroso: 39 km, battuto solo da un’altra dalla sonda Opportunity che nel 2004 ha fatto 45,16 km su Marte. La terza ad arrivare sulla Luna con un mezzo semovente è stata la Cina nel 2013 con i suoi Yutu (che detengono il record di operatività di 321 giorni) e nel 2019 ci ha provato anche l’India, ma il suo Pragyan è andato distrutto nella fase di allunaggio.

Nel frattempo, la corsa all’esplorazione di Luna e Marte da parte mondo occidentale è ripartita. Il programma Artemis di NASA, ESA, JAXA e CSA punta a stabilire tra qualche anno una base lunare permanente, con tanto di modulo abitativo e di sistemi di mobilità di superficie. Identico obiettivo ha anche la Cina che potrebbe chiamare a collaborare al proprio programma Chang’e 8 del 2027 anche la Russia.

ARRIVANO I VIPER

Per Artemis ci saranno i VIPER (Volatiles Investigating Polar Exploration Rover) a guida autonoma per le esplorazioni scientifiche, mentre per altri scopi ci saranno mezzi a guida umana, alcuni con cabina pressurizzata, capaci dunque di trasportare persone senza tuta spaziale. Anche stavolta ci sta lavorando General Motors, insieme alla Lockheed Martin, ma non sono i soli. Altre aziende aerospaziali e altre case automobilistiche stanno collaborando per realizzare sistemi di mobilità in grado di far esplorare quel 95% di suolo lunare dove l’uomo non ha messo né piede né ruota. Tra queste c’è Stellantis che ha avviato una collaborazione con la sede torinese di Thales Alenia Space, uno dei migliori centri di ricerca, produzione e validazione al mondo per sistemi spaziali di ogni tipo. Toyota ha già presentato i rendering del suo Lunar Cruiser, una specie di furgoncino a 6 ruote con propulsione elettrica alimentata ad idrogeno tramite celle a combustibile e provvisto di pannelli solari. Con la JAXA (l’agenzia spaziale giapponese) sta lavorando anche la Nissan per un modulo a guida autonoma che sfrutta lo stesso sistema di trazione integrale e-4ORCE del crossover elettrico Ariya. Anche Audi ha messo tutto il proprio know-how per trazione integrale, elettrico e guida autonoma nel Lunar Quattro Rover, battezzato LQR.

DALLE MISSIONI AL CINEMA

Nato come studio per competere al Lunar XPrize di Google, all’LQR è mancato solo il contratto di lancio per andare sulla Luna, in compenso ne ha guadagnato uno come comparsa nel film “Alien Covenant” del 2017. Sembra stranamente disinteressata al tema la Tesla, stretta parente di SpaceX mentre una sua vicina in quel di Hawthorne, la Astrolab Venturi, ha sviluppato un proprio rover Flex con la Venturi, sfruttando il proprio know per le batterie maturato con il team Formula E e l’auto e la moto elettrica che detengono i rispettivi record mondiali di velocità. Hyundai sta sviluppando il Tiger, dotato di 4 zampe articolate alle cui estremità ci sono le ruote.

Anche la Nasa per Marte sta pensando ad un incrocio tra un veicolo ed un insetto con Athlete, un ragno robotizzato e “ruotato” a 6 zampe. Esempi di convergenza tra l’industria della mobilità spaziale di superficie e l’industria della mobilità terrestre negli ultimi ha messo sul tavolo capitali enormi per migliorare sicurezza e rispetto ambientale sviluppando l’elettrificazione, la connettività e la guida autonoma con risultati che dimostrano, ancora una volta, il ruolo di catalizzatore dell’automobile per tecnologie spendibili anche per i mezzi destinati ad aprire strade ben più lontane ed ambiziose di quelle che percorriamo ogni giorno.

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