Cervello e intelligenza artificiale, lo scienziato Hiroaki Kitano: «La sfida? Capire la complessità delle emozioni»

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di Raffaele d'Ettorre
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Mercoledì 20 Ottobre 2021, 15:23 - Ultimo aggiornamento: 22 Ottobre, 15:55

Pioniere e visionario della tecnologia applicata alla ricerca, Hiroaki Kitano è ceo di Sony Computer Science Laboratories e di Sony AI, docente ordinario all’Okinawa Institute of Science and Technology, creatore della RoboCup, nonché tra le massime autorità mondiali in materia di intelligenza artificiale. Insieme a lui per MoltoFuturo parliamo di scienziati artificiali, di algoritmi imparziali e del complesso rapporto tra emozioni umane e macchine.

Dr. Kitano, la sua esperienza nel campo della ricerca abbraccia oltre trent’anni di successi e sfide. Su cosa si sta concentrando adesso?

«Sulla Nobel Turing Challenge, che ha lo scopo di creare un’IA in grado di superare le capacità dei migliori scienziati umani. Usare la biologia dei sistemi per analizzare problemi molto complessi è ancora oggi una sfida che reputo al di sopra delle possibilità umane.

Avere uno “scienziato IA” potrebbe trasformare per sempre la scienza e influire in modo determinante sulla nostra civiltà».

In che modo?

«Prendiamo come esempio il campo biomedico: ogni anno vengono pubblicati circa due milioni di articoli. È fisicamente impossibile per un essere umano assorbire tutta quella conoscenza. Un sistema IA invece non solo ci riuscirebbe ma potrebbe anche trovare le ipotesi migliori da sviluppare, proprio perché avrebbe ben chiaro il quadro generale. La ricerca umana è per sua natura parziale: siamo noi a scegliere le domande, ma come facciamo a sapere quale sia la domanda giusta?».

Una IA come ci aiuterebbe?

«Un sistema di IA abbastanza sofisticato dovrebbe essere in grado di pubblicare articoli scientifici in maniera completamente autonoma. Certo, l’uomo potrebbe intervenire per scegliere quali articoli pubblicare, ma questo introdurrebbe una forma di pregiudizio perché noi tendiamo a impostare la ricerca verso il beneficio umano. Spesso però bisogna passare attraverso una serie di scoperte intermedie che potrebbero sembrare irrilevanti per la nostra specie ma che più avanti si rivelano essenziali. Ad esempio possiamo considerare poco importante la cura di una malattia animale, ma questa un giorno potrebbe portare alla scoperta di una cura per una malattia umana. Avere un sistema IA che si occupi di questi passaggi intermedi al posto nostro sarebbe di grande utilità».

Facciamo un ulteriore passo avanti. Immaginiamo di poter applicare l’IA ai processi decisionali, ad esempio in politica. Lei crede che le macchine potrebbero sostituirci anche in quel campo?

«Le decisioni politiche poggiano su convinzioni personali e il fattore umano spesso ha la meglio sulla bontà effettiva della scelta adottata. Penso che si creerebbe uno scontro, sia perché le persone guarderebbero con diffidenza una macchina di questo tipo, sia perché i politici tradizionali continuerebbero a promuovere gli interessi del proprio gruppo indipendentemente dai suggerimenti dell’IA. Per questi motivi, una intelligenza artificiale “politica” sarebbe un progetto estremamente difficile anche solo da realizzare».

Studi recenti hanno evidenziato come molti algoritmi IA mostrino segni di pregiudizio razziale. Lei come gestisce la questione etica nella sua ricerca?

«La prendiamo con estrema serietà, tanto che all’interno di Sony abbiamo creato un comitato etico proprio per fare in modo che i nostri sistemi IA siano eticamente imparziali. Credo che il problema sia riconducibile alla mancanza di dati: ci sono algoritmi di riconoscimento facciale che hanno problemi con alcune minoranze etniche proprio perché queste non sono rappresentate con un numero di dati sufficiente. Noi cerchiamo di avere un database che sia il più possibile bilanciato proprio per evitare questi problemi».

Pensa che un giorno i robot saranno in grado di replicare in modo convincente le emozioni umane?

«Forse, prima però dovremmo riuscire a definire correttamente cos’è un’emozione umana. Le emozioni sono un qualcosa di estremamente complicato. Possiamo già replicarne alcune ad un livello superficiale ma la vera sfida è riuscire a comprenderne tutta la intima complessità. Alcune nostre emozioni ad esempio sono governate dalla paura della morte o dalla paura di ammalarci: un sistema IA, non comprendendo appieno questi concetti, non riuscirebbe a riprodurli in modo convincente».

Comprenderli aiuterebbe la ricerca?

«In alcuni campi sì. Ad esempio nell’assistenza sanitaria, avere un’IA che riesca a interpretare le emozioni umane sarebbe estremamente utile».

Per insegnarle alle macchine però prima dovremmo capirle noi.

«Sì, e questo non aiuterebbe solo la ricerca, ma ci aiuterebbe anche a capire meglio noi stessi».

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