Divario digitale, la lezione del Pnrr: primi passi per colmare il gap soprattutto degli adulti

Divario digitale, la lezione del Pnrr: primi passi per colmare il gap soprattutto degli adulti
di Matteo Grandi
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Mercoledì 19 Gennaio 2022, 14:14 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 22:36

Parafrasando un vecchio detto si potrebbe affermare che «educare è meglio che combattere».

Un’affermazione che visti i tempi che corrono si potrebbe adattare a infiniti contesti. Ma che è perfetta per il mondo digitale. Senza scomodare il solito Umberto Eco e “le legioni di suoi imbecilli” è fin troppo evidente che oggi il web, a cui hanno accesso miliardi di persone in tutto il pianeta, stia rischiando di perdere il suo enorme potenziale in termini di partecipazione, democrazia e impatto sulla qualità della vita, indebolito da due punti di criticità nel nostro rapporto con la rete: la mancanza di alfabetizzazione digitale e il digital divide. La prima è figlia di numerose concause: dalla velocità con cui il web e i social sono entrati nelle nostre vite diventando uno dei primi mezzi di comunicazione per chi non aveva alcuna familiarità con lo strumento, all’illusione di sapere indotta dalla “conoscenza fai-da-te” in cui anche strumenti preziosi come Google o Wikipedia rischiano di alimentare superficialità e disinformazione, dalla mancanza di programmi di formazione ed educazione digitale ad ampio spettro e alla mancanza di educatori. Insomma il tema è sfaccettato e complesso e sul gap ha influito, insieme all’incapacità del sistema di inseguire la velocità di diffusione del mezzo, anche un equivoco di fondo che ci trasciniamo dietro da sempre: parli di educare e pensi automaticamente che il target di riferimento siano gli studenti e i soggetti preposti all’educazione siano scuola e famiglia.

Niente di più fuorviante in un contesto in cui i ragazzi (che hanno sicuramente bisogno di essere formati e dotati di consapevolezza rispetto alla propria presenza in rete) non sono gli unici ad avere bisogno di insegnamenti; e anzi, sono spesso gli adulti quelli che hanno maggior bisogno di essere educati. Insomma, la famiglia in questo campo sembra essere più un soggetto che va formato che un soggetto in grado di formare. E la stessa cosa vale per buona parte del corpo docente sui temi del digitale. Ecco perché oggi, quando ci si pone l’obiettivo di educare, bisogna alzare l’asticella del metodo nettamente al di sopra dei nostri retaggi culturali e muoversi in due direzioni ben precise: da una parte lavorare sui docenti, formandoli e preparandoli, dall’altra trovare delle strade per allargare il target di riferimento ben oltre la platea degli studenti. Finché non si troverà un modo di raggiungere anche gli adulti, il tema dell’alfabetizzazione digitale resterà drammaticamente irrisolto proprio nel suo aspetto più rumoroso e preoccupante. Infine, sempre su questo punto, è arrivato il momento di pretendere competenze. Insomma la cultura digitale in se non ci salverà se continueranno a mancare le competenze fondamentali per far crescere l’intero sistema.  E a proposito di sistema, eccoci al secondo aspetto critico: il digital divide, ovvero quel divario digitale rispetto all’accesso a internet che è una delle principali fonti di disuguaglianza sociale in seguito alla quale si amplifica anche un pericoloso gap democratico di fronte alla crescente presenza della rete in ogni ambito della società. Chi oggi è ai margini del digitale ne perde ogni vantaggio. Con un danno socio-economico e culturale enorme che diventa anche l’inizio di un loop in cui a pagare lo scotto in maniera esponenziale sono sempre i ceti sociali più svantaggiati. Un aspetto che di recente ha avuto un enorme impatto sulla Dad creando gravi discrepanze fra alunni che non hanno problemi con l’accesso a internet (banda larga, giga illimitati, più device in famiglie numerose) e chi queste facilitazioni non le ha. Il tutto con ovvie ripercussioni sulla qualità dell’apprendimento e sulla possibilità di tenersi al passo con le lezioni da remoto per i più svantaggiati. Eppure, udite udite, qualcosa comincia a muoversi. Se non altro sotto il profilo dell’alfabetizzazione digitale. Grazie al PNRR sono stati stanziati 2 miliardi per formare gli statali sul digitale, facendo dipendere persino gli stipendi dalle competenze acquisite. Insomma, forse si sta finalmente comprendendo che è il tempo di intervenire. Non siamo ancora al Maestro Manzi che in prima serata su RaiUno contribuisce ad alfabetizzare un Paese, ma si sta comunque iniziando ad ampliare la platea dei soggetti da educare.

Che continuano a non essere pochi. Ma da qualche parte bisognava pur cominciare.

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