L'auto elettrica è cinese: Pechino quest’anno diventerà il primo esportatore nell’Unione Europea

La BYD Han, è una BEV protagonista al Salone Auto di Parigi
La BYD Han, è una BEV protagonista al Salone Auto di Parigi
di Giorgio Ursicino
6 Minuti di Lettura
Mercoledì 19 Ottobre 2022, 12:06 - Ultimo aggiornamento: 20 Ottobre, 07:56

Tanto tuonò che piovve. Le autovetture cinesi, fino a pochi anni fa, non si erano mai viste in giro. Né in Europa né tanto meno in Italia.

Ma il grande Paese orientale non è diventato la fabbrica del mondo? E dunque, perché non ci ha sommersi con le sue vetture, sicuramente tecnologiche e, soprattutto, più abbordabili nei prezzi? Nessun mistero, la strategia è chiara e preparata nei dettagli. Partita da un ragionamento: non conviene esportare in altri continenti una tecnologia “anziana”, sulla quale i costruttori di altre aree geografiche vantano un’esperienza di oltre un secolo. Meglio mettere a punto l’inevitabile transizione energetica e, al momento giusto, essere in vantaggio e non inseguire. Soprattutto nel campo delle batterie, nel quale la Cina è leader mondiale, sia per capacità d’innovare sia per disponibilità di materie prime che, in tempi non sospetti, sono state opzionate in ogni angolo del globo. E l’impostazione ha funzionato. Come per magia, lo scatto è stato bruciante. Decollata l’auto elettrica, è partita l’invasione. Accompagnata da qualche modello termico dal prezzo vantaggioso solo per rodare la catena distributiva. Dietro, ad alimentare il fuoco, c’è lo sterminato mercato domestico che ormai vale un terzo di tutte le vendite mondiali di auto e più di quelle europee e nord americane messe insieme. “Region” che, se si unissero, hanno la metà della popolazione cinese. Di più. Per assecondare quel ciclopico supermaket, i costruttori occidentali sono andati a produrre i primi modelli elettrici proprio nell’ex Celeste Impero. Perché? Per essere bene accolti dai locali, con i quali hanno dato vita a numerose joint venture, per avere un ricco mercato sul posto e, soprattutto, per poter contare su una rete di componenti, in prima fila le batterie, abbondante e all’avanguardia.

LA FINANZA SOFFRE

Il Vecchio Continente ha un comparto automotive fortemente in crisi: di volumi, non di risultati finanziari. Le case automobilistiche hanno cavalcato la svolta ecologica e le varie contingenze (dalla pandemia alla crisi Ucraina, passando per il caro energia e la carenza di materie prime) per concretizzare un sogno a lungo accarezzato. A guidare non è più la domanda, il mercato, ma l’offerta, cioè l’industria. Meno vetture disponibili per il taglio delle termiche, tempi di attesa incredibilmente lunghi e vendita a prezzo pieno, senza nessuno sconto. Il bengodi di ogni settore merceologico, sulle orme di Tesla (per restare in argomento) e, prima ancora, di Apple, i premium per tutti. Con questa cura vigorosa, il mercato europeo quest’anno perderà oltre un quarto della sua quota (-26%) rispetto al 2019 (l’anno prima dell’arrivo del virus), spedendo i profitti in orbita. In tempi recenti si viaggiava sopra i 15 milioni, nel 2022 chiuderemo con una sola cifra davanti ai sei zeri (9,6 milioni è la previsione). Di questi, quasi un terzo sono vetture costruite fuori dall’Europa (27 paesi Ue, UK ed Efta), oltre 3 milioni di esemplari vengono importati. Chi guida? I giapponesi, gli americani o i coreani in forte crescita con una quota di mercato che si avvina al 10%? Nessuno di loro. Nell’anno in corso, per la prima volta, il Paese leader dell’export in Europa diventerà la Cina superando, molto probabilmente, il mezzo milioni di unità. Pechino scavalcherà Ankara che non ha costruttori locali, ma viene usata per produrre a prezzi più competitivi potendo sfruttare la ridotta distanza (la Turchia è una buona base per rifornire anche l’India).

La sensazione è che il made in Cina crescerà ancora perché i grandi player orientali proprio ora cominciano a fare sul serio. Difficilmente, però, vedremo quello che abbiamo provato, prima con gli americani (quasi un secolo fa), poi con i giapponesi (negli anni Ottanta), quindi con i coreani, con la nascita di numerose transplant. I cinesi tenteranno di tenere la produzione in casa per sfruttare la loro forza lavoro meno costosa che altrove e aggredire i mercati esteri con la tecnologia e il prezzo. Proprio nel 2022 alcune grandi case hanno aperto la strada verso l’Europa.

LA VIA DELLA SETA

Non è la “via della seta”, ma un percorso fortemente elettrificato, quasi esclusivamente elettrico. E la porta d’ingresso non è a Sud, i cui Paesi non decollano dal punto di vista delle auto a batterie, ma a Nord, dove i Paesi sono più forti economicamente e probabilmente con una coscienza ecologica più matura. La Norvegia, dove le vendite delle vetture zero emission supera il 50% e dove la fine delle auto termiche è un obiettivo sicuro. L’Olanda, agevolata anche da un favorevole regime fiscale, accanto alla grande Germania: ecco due altre candidate probabili. E chi sono gli ”invasori”? In pole position il colosso Byd, un gruppo nato poco più di 25 anni fa, un riferimento sicuro per l’automotive, il trasporto ferroviario, l’elettronica e l’energia rinnovabile, con una particolare attenzione per le batterie. Tra l’altro, il gigante è partecipato dalla Berkshire Hathaway di Warren Buffett e pare che qualche mese fa sia diventato il più grande produttore mondiale di auto ad elettroni (641.000 vetture consegnate nel semestre), scavalcando Tesla, da sempre in testa alla classifica. Nondimeno, l’azienda di Elon Musk ha registrato un terzo trimestre ‘22 da primato, avendo venduto 343.000 vetture, un volume in linea con il target ambizioso dell’intero esercizio (1,5 milioni). La Byd è in lizza anche per il vertice di un’altra graduatoria: quella dei produttori di accumulatori elettrici per veicoli. È seconda dietro alla connazionale Calt, avendo scavalcato la coreana LG che è partner di numerose case automobilistiche, fra cui Stellantis in Nord America. Byd ha presentato, e presto inizierà le consegne, tre modelli: due Suv, la Atto 3 e la Tang, e una grande berlina, la Han. Tutte a inquinamento zero, costruite su pianale nativo elettrico e con batterie fatte in casa molto avanzate. Di notevole livello la qualità e i materiali utilizzati, in linea con le concorrenti più blasonate. Strategia simile per la Nio, fondata nel 2014 e da tempo impegnata in Formula E: tre modelli in vendita da ora, oltre che in Norvegia, anche in Germania, Olanda, Danimarca e Svezia. Numeri già importanti per Link&Co dell’attivissimo gruppo Geely del guru Li Shufu che si occupa di realizzare in joint venture con la Mercedes anche il crossover #1 che apre il nuovo corso della Smart. Il gruppo è anche totalmente proprietario della Volvo e della controllata Polestar, un’altra europea fatta in Cina. Il dinamismo di Li Shufu è confermato dalla partecipazione in Mercedes (primo azionista con circa il 10%) e ora anche in Aston Martin oltre che in Lotus. Numerose le fabbriche di costruttori esteri in Cina, alcune delle quali producono per tutto il mondo. Per dirne una: è made in China l’ultima generazione di BMW X3 disponibile anche nella apprezzatissima versione elettrica.

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