Che fine fanno i palloncini? Volano per 3mila chilometri

Che fine fanno i palloncini? Volano per 3mila chilometri
di Lucia J. IAIA
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Venerdì 3 Gennaio 2020, 10:48 - Ultimo aggiornamento: 17:41
Dove vanno a finire i palloncini che sfuggono di mano ai bambini nelle feste di piazza? Da questa bellissima curiosità scaturisce il progetto Luisa. Lo ha realizzato in tre anni di lavoro hobbistico Roberto Pietrafesa, un ingegnere aerospaziale dipendente Leonardo nello stabilimento di Monteiasi-Grottaglie, in collaborazione con Mikael Dagman, James Zelazny ed Hans Summers, suoi colleghi radioamatori.
Proprio le straordinarie caratteristiche del trasmettitore di soli 2x2 cm di grandezza e 4,85 grammi di peso gli consentono di volare assieme ad un palloncino ad elio, indicandone così la posizione e di essere il trasmettitore più piccolo e leggero che sia mai stato lanciato in Italia. Il primo lancio è avvenuto proprio qualche giorno fa da Monteiasi, piccolo comune della provincia di Taranto, dove Roberto risiede con la propria famiglia.
Lucano di nascita ma pugliese di adozione, l'ingegnere appassionato di radiotelegrafia, trasmissioni radio e storia della seconda guerra mondiale, ha lavorato con caparbietà a questo progetto al quale ha voluto dare lo stesso nome di sua mamma. Nel suo primo lancio, il pallone ha cominciato a salire di quota lentamente, di quasi un metro al secondo, fino a raggiungere la quota di galleggiamento di 8.700 metri quando si trovava pressappoco sulla città di Gallipoli. Da lì si è spento, poiché i suoi pannelli solari, esposti ai raggi di un sole che oramai aveva un'elevazione sull'orizzonte inferiore ai 12°, non riuscivano più ad erogare i 3 Volt di cui il sistema ha bisogno per funzionare. È così iniziata la notte del pallone che, pur non trasmettendo, ha continuato la sua corsa verso la Grecia alla velocità di circa 110 km/h. Oltre la Grecia, ha poi sorvolato l'isola di Creta per poi dirigersi verso il Nordafrica, esattamente sul confine tra Egitto ed Israele. Ed è da lì che l'indomani mattina ha trasmesso nuovamente il suo segnale, proseguendo poi la corsa verso sud-est, sorvolando dapprima la Giordania ed infine, l'Arabia Saudita, dove ha terminato il suo viaggio di tremila chilometri poggiandosi dolcemente al suolo su un altipiano desertico di 600 metri, probabilmente a causa di un foro nel pallone stesso o, più probabilmente, a causa dell'appesantimento del pallone dovuto ad alcune precipitazioni che erano in corso in quella zona.
Un vero successo, come primo lancio, considerando che Roberto auspicava solamente la salita alla quota di galleggiamento e al massimo un centinaio di chilometri di percorrenza. Ma è lui stesso a spiegare il progetto. «Il sistema è composto da una piccolissima scheda elettronica, da me progettata, sulla quale vi sono un localizzatore gps, un microcontroller e un sintetizzatore di segnale in radiofrequenza. Solo tre componenti, quindi, più altri sette tra condensatori, resistori oscillatori al quarzo, per un totale di soli dieci componenti». Naturalmente, in questi anni, Pietrafesa ha dovuto affrontare numerose difficoltà ed intoppi che, molte volte, si sono presentati in fase di progettazione.
Tra i crucci maggiori dell'ingegnere, l'alimentazione del sistema. «Ho pensato a 6 piccoli pannelli solari rettangolari, della misura di soli 4x2 cm e del peso di soli 2 grammi complessivamente. Il tutto è stato posizionato su un pannellino di polistirolo dello spessore di 3mm, scelto sempre al fine di minimizzare quanto più possibile il peso totale del sistema», spiega l'ingegnere. D'altra parte però, un così esiguo numero di componenti ha comportato una serie di problematiche. «La riduzione del numero di componenti non ha consentito di creare un amplificatore di potenza del segnale che avrebbe aggiunto altro peso per cui il trasmettitore ha emesso segnali della potenza di soli 10 milliwatt. Per capire quanto flebile sia, basti pensare che un normale smartphone, durante una telefonata, eroga una potenza di trasmissione di circa 250milliwatt, ovvero 25 volte il trasmettitore del progetto Luisa», spiega Pietrafesa. Il motto latino Crescit audacia esperimento (cresce l'audacia con la conoscenza) è nel simbolo della missione. «L'ho scelto poiché mi auguro che questo esperimento, più idealista che profittevole, possa trasmettere un impulso a tutti i ragazzi come a mio figlio, per stimolare la fantasia verso un approccio creativo al tempo libero, che migliori conoscenza, pensiero critico e determinazione nelle proprie scelte».
Naturalmente, questo progetto è solo all'inizio perché Pietrafesa ha in mente un nuovo lancio a febbraio. L'obiettivo finale è davvero ambizioso, completare il giro del mondo. Cosa che richiede una permanenza in volo di circa 14-18 giorni a seconda della velocità dei venti in quota. Intanto, per curiosi ed appassionati di tecnologia ma anche per i sognatori, è possibile seguire gli sviluppi del progetto sulla pagina facebook Luisa radio balloon.
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