Brindisi, concepito in laboratorio:
il bambino venuto dal freddo

Brindisi, concepito in laboratorio: il bambino venuto dal freddo
di Massimiliano IAIA
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Domenica 20 Novembre 2011, 18:31 - Ultimo aggiornamento: 15 Marzo, 19:30
BRINDISI - La scienza non crede nei miracoli, e in molti casi interviene quando non ci crede pi nessuno. Ci credevano in pochi, effettivamente, in questa storia di speranza e di tenacia, inseguendo una gravidanza voluta da otto anni. E che finalmente arrivata, grazie all’utilizzo simultaneo di tre tecniche - non ci sono precedenti nel Mezzogiorno d’Italia -, cos come messo in pratica dall’quipe Probios, il centro di ginecologia, urologia, diagnosi e cura della sterilit di coppia situato presso la Cittadella della Ricerca, a Brindisi.


La paziente in questione ha 37 anni, è nata a Castellaneta ma vive a Massafra. Da anni, appunto, nonostante grossi ostacoli di base, assieme al marito aveva provato in tutti i modi ad avere un figlio, rivolgendosi a molti centri specializzati di tutta Italia. Fino a quando il destino della coppia non si è incrociato con Probios, il laboratorio che già nei mesi precedenti era salito agli onori della cronaca per la messa in atto di una tecnica che aveva portato all’inseminazione di una donna nonostante il marito avesse perso i testicoli a causa di un tumore.

Stavolta è stato l’utilizzo di una triplice tecnica - secondo un iter decisamente innovativo - che ha portato ad un risultato che altri specialisti avevano escluso dopo ripetuti quanto inutili tentativi.



«Prima di tutto - spiega Emanuele Licata, responsabile laboratorio - abbiamo avviato una fase di vitrificazione e di devitrificazione degli ovociti. Dopo essere stati scongelati, gli ovociti sono stati trattati con tecniche Icsi e Imsi». Nel primo caso, gli spermatozoi selezionati per essere iniettati nell’ovocita vengono valutati con un ingrandimento 400 volte superiore alla realtà. Con l’innovativa tecnica Imsi (“Intracytoplasmic Morphologically Selected Sperm Injection”), la selezione spermatica può essere estremamente più precisa poiché si utilizzano microscopi che ingrandiscono il liquido seminale per 6.600 volte.

«E poi, siamo passati alla coltura prolungata, ovvero la coltura degli embrioni fino a blastocisti, attraverso l’utilizzo di tre gas in appositi incubatori, mescolando anidride carbonica, ossigeno e azoto», conclude Licata. Un attento incastro di pressione, di temperature, affinché ogni embrione possa avere il suo spazio. Passaggi estremamente complicati, che richiedono una minuziosa cura dei particolari, senza davvero lasciare nulla al caso. Il tutto all’interno di una struttura decisamente all’avanguardia: elevati standard di sicurezza, di igiene e di innovazione che ha fatto di Probios uno dei laboratori più stimati e attrezzati anche al di fuori della regione.



«Solo l’estrema cura di ogni minimo dettaglio può portare a un risultato così soddisfacente», commenta il direttore clinico Giuseppe D’Amato, che spiega orgogliosamente quali siano stati i passi della sua équipe per giungere al sorriso più bello nella casa della coppia tarantina. «La novità consiste proprio nella compresenza di tutte e tre le tecniche, nel Mezzogiorno d’Italia nessuno era arrivato a tanto, e probabilmente anche nel resto della penisola è piuttosto raro individuare un caso analogo al nostro».

La diffidenza rispetto alle tecniche tradizionali rappresenta sicuramente un ostacolo in più «in una regione dalle mille risorse ma che talvolta presenta una certa povertà culturale in questo campo», aggiunge D’Amato. «Faccio un esempio: le tecniche Icsi e Imsi non sono affatto inedite, ma ci sono anche specialisti che pensano di poterle effettuare con uno stesso apparecchio. Il che comporta un’approssimazione gravissima, danneggiando così il risultato finale».



Ma all’altro capo della diffidenza c’è un elemento altrettanto pericoloso: «Guai ad illudere o tantomeno pensare di speculare sui casi dei nostri pazienti», spiega il direttore clinico. «Innanzitutto, ogni mossa viene presa con il pieno consenso dei diretti interessati. Poi, al di là di un pur fondamentale lavoro motivazionale, i pazienti vengono informati passo dopo passo senza nascondere nulla». Totale trasparenza, insomma. E poi, si stabilisce anche un numero massimo di tentativi. «Mai oltre i tre», assicurano dall’equipe composto appunto da un direttore clinico, due ginecologi, un capo embriologo, un tecnico, un biotecnologo, due segretarie e un caposala. «Bisogna diffidare degli avventurieri - continua D’Amato -, i biologi devono avere la giusta certificazione, i pazienti dovrebbero controllare i curricula di chi li visita prima di affidare il proprio destino, oltre a quello del nascituro». Non ha fatto eccezione l’ultimo caso: «La signora era comprensibilmente scoraggiata. Poi si è affidata a noi, e non ha perso la speranza nemmeno dopo il primo tentativo fallito. È stata necessaria una seconda occasione prima di poter comunicare la notizia più bella
». E adesso si contano i giorni, le ore, per il primo vagito che arriverà tra un mese. Il bambino venuto dal freddo troverà il calore di chi lo attendeva da otto anni. E quando crescerà, avrà tutto il tempo per informarsi - anche qui, anche così - su come è venuto al mondo.
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