Appalti col trucco, due donne tornano libere

Appalti col trucco, due donne tornano libere
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Martedì 21 Marzo 2017, 05:40 - Ultimo aggiornamento: 15:25
Scarcerazioni e arresti domiciliari, dopo la richiesta di giudizio immediato per diciassette imputati avanzata dal pubblico ministero Maurizio Carbone, nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti nella Marina militare.
Ieri, il gip del tribunale Pompeo Carriere ha accolto le richieste avanzate dalla difesa ed ha revocato per insussistenza delle esigenze cautelari le misure ancora in vigore a carico di Francesca Mola, Corina Boicea e Vitantonio Bruno (ai domiciliari per altra vicenda). Agli arresti domiciliari è stato posto, per l’affievolimento delle esigenze cautelari, il militare dell’Arma dei carabinieri Paolo Cesari.
Il gip ha così accolto le istanze presentate fra gli altri dagli avvocati Luca Balistreri, Nicola Marseglia, Francesco Tacente e Stefano Taddei.
In questi giorni, intanto, il collegio di difesa sta predisponendo la serie di richieste di riti alternativi, in previsione dell’udienza preliminare già programmata a partire dal 5 maggio prossimo.
 
Il dottor Carbone, come è noto, titolare dello scottante fascicolo sugli appalti gestiti a Maricommi, ha chiesto il processo per il capitano di vascello Giovanni Di Guardo, ex direttore di Maricommi, per la sua compagna rumena Elena Corina Boicea. Ma anche per Marcello Martire, dipendente civile della Marina Militare, per gli imprenditori Paolo Bisceglia, Valeriano Agliata, Pietro Mirimao, Giovanni Perrone, Bruno Vitantonio, Vincenzo Calabrese, Giuseppe Musciacchio e Vincenzo Pastore.
Analoga richiesta è stata avanzata nei confronti del tenente della Marina Francesca Mola, del luogotenente dei carabinieri Paolo Cesari, dell’imprenditore Gaetano Abbate, e dei capitani di vascello Massimo Conversano e Gerardo Grifi, per i quali l’iniziale contestazione di corruzione era stata trasformata in quella di traffico di influenze. In ultimo, la richiesta è stata avanzata anche per l’ispettore della Polizia Fortunato Giunta.
Per tutti, appunto, la data del 5 maggio è considerata fatidica. Tuttavia, le difese stanno predisponendo le richieste di rito alternativo. Strada che molti potrebbero voler imboccare alla luce degli elementi e delle prove raccolte a loro carico, soprattutto grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali.
Oltre all’esame di una copiosa documentazione contabile e bancaria che ha consentito di comprovare l’esistenza di un cartello di imprese tra loro collegate per pilotare l’assegnazione a loro favore di oltre 200 appalti e affidamenti gestiti dalla direzione Maricommi di Taranto, con l’estromissione delle altre ditte concorrenti al fine di assicurarsi illeciti profitti, per un ammontare complessivo stimato in 5 milioni e 460 mila euro.
Le indagini svolte dai militari delle Fiamme gialle, e dirette dal dottor Carbone, hanno permesso di fotografare le attività messe in piedi a vario titolo dai principali imputati per pilotare l’appalto da undici milioni e trecentomila euro legato ai servizi di pulizia nelle sedi della Marina del Mezzogiorno. Progetto stoppato dalle prime manette di “mazzette e stellette”, allorchè i finanzieri fecero scattare, nella flagranza del reato, gli arresti di Di Guardo e dell’imprenditore Vincenzo Pastore.
Quella incursione dei finanzieri, basata su intercettazioni ambientali effettuate con modalità sino ad allora sconosciute, diede poi il via ad ulteriori atti che permisero di scoprire le miserevoli condotte attuate da famelici imputati, abituati alla “bella vita” con i soldi della collettività. A cominciare da Di Guardo, inviato in tutta fretta a Taranto per imporre la “legalità” a Maricommi, già teatro di appalti truccati e tangenti volate a tutto spiano. 
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