Surriscaldamento, inquinamento, sovraffollamento: a rischio il 60% della produzione di cozze a Taranto

Surriscaldamento, inquinamento, sovraffollamento: a rischio il 60% della produzione di cozze a Taranto
Surriscaldamento, inquinamento, sovraffollamento: a rischio il 60% della produzione di cozze a Taranto
di Massimiliano MARTUCCI
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Venerdì 20 Agosto 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 09:08

Il 60 percento delle cozze tarantine andrà perso, quest’anno. Il caldo forte, le crisi anossiche (mancanza di ossigeno), l’inquinamento, il sovraffollamento sono le cause della moria che sta caratterizzando i famosi mitili neri, e non sono certamente cause sconosciute. Anzi. Ad agosto l’acqua nel primo seno del Mar Piccolo, dove sono messe le cozze a maturare, ha superato i 31,8 gradi.

«Dati Arpa» spiega Mimmo Bisignano, dirigente di Legacoop agroalimentare, «ma ormai non si può più parlare di emergenza, il problema è diventato strutturale». Basta leggere un po’ di rassegna stampa: da anni in questo periodo si incontrano articoli che rilanciano il problema. Caldo forte, crisi anossiche, sovraffollamento e inquinamento. La morìa delle cozze è uno dei sintomi più evidenti dei cambiamenti climatici, di come possono impattare su un settore tradizionale. L’acqua che supera i 30 gradi è letale per i mitili che sopravvivono solo fino a 28 gradi. Poi si cuoce, praticamente.

Se a questo si aggiungono le crisi anossiche dovute, secondo le ricerche, all’impatto delle acque reflue che dal Canale d’Aiedda arrivano nel secondo seno, dove da febbraio è obbligatorio trasferire le cozze, il risultato è sotto gli occhi di tutti. Nel Canale confluiscono le acque di scarto dei comuni di Grottaglie, Faggiano, Villa Castelli, Monteiasi e Montemesola e secondo la ricercatrice ambientale Rossella Baldacconi «il surplus di materia organica combinato ad alte concentrazioni di nitrati e fosfati lisciviati dalle circostanti terre coltivate, innesca soprattutto nei mesi estivi, impressionanti fioriture algali che destabilizzano il delicato sistema marino e provocano nei casi peggiori gravi crisi anossiche caratterizzate da diffuse morie di massa».

L'ordinanza

Per comprendere meglio l’impatto è bene ricordare che a causa dell’inquinamento del primo seno del Mar Piccolo esiste un’ordinanza che obbliga i mitilicoltori a trasferire il prodotto nel secondo seno entro il 28 febbraio di ogni anno.

Qui «si crea un sovraffollamento di mitili che determina una minor crescita del prodotto, che invece di maturare a maggio o giugno, ora matura a metà luglio e quindi non c’è tempo di vendere le cozze», spiega Emilio Palumbo, presidente di Acgi Pesca.

Ad agosto arrivano le famigerate crisi anossiche e la cozza muore, di caldo e asfissiata. Per questo motivo verso fine luglio il Comune ha autorizzato l’impianto dei mitili nel Mar Grande, un’area di nove ettari, per un totale stimato di tremila tonnellate. Poca roba, rispetto alla produzione annua che arriva a cinquantamila. «L’anno prossimo chiederemo più spazio, ma il Comune è stato celere a mettere a disposizione quest’area, grazie al lavoro dell’assessore Manzulli e del sindaco Melucci» dice Bisignano.

Ma Palumbo non è contento: «il Mar Grande non è produttivo» perché manca il nutrimento delle cozze. E quindi, spiega Palumbo: «I centri di distribuzione, non avendo abbastanza prodotto maturo per maggio o giugno, sono costretti a importarlo». Dalla Spagna, dall’Adriatico, soprattutto dalla Grecia. «La cozza greca non è controllata come la nostra. Abbiamo visite dell’Asl praticamente tutti i giorni» conclude il presidente di Agci Pesca.

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