«Stop al sacrificio di Taranto». Protesta contro l’inquinamento

Un momento della manifestazione di ieri
Un momento della manifestazione di ieri
di Paola CASELLA
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Lunedì 23 Maggio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 07:29

Taranto non si arrende e ancora una volta si riunisce in piazza Garibaldi per invocare il rispetto del suo diritto alla vita. Lo ha fatto nuovamente ieri pomeriggio durante la manifestazione “Stop al sacrificio di Taranto”, organizzata dal Comitato cittadino per la Salute e l’Ambiente a Taranto, una sorta di contenitore cui aderiscono numerosissime realtà associative e movimenti. 
L’evento che, ha visto la partecipazione di moltissime persone, nonostante la bella giornata festiva, ha riscosso grande interesse anche a livello nazionale, con la mobilitazione di tantissimi esponenti del mondo della cultura, dell’arte e dello spettacolo che nei giorni scorsi hanno inviato messaggi di solidarietà ai tarantini ed appelli ai decisori politici per un autentico cambiamento.

Le motivazioni 


Il presidente di Peacelink, Alessandro Marescotti, riannoda il filo degli ultimi eventi: «L’idea di organizzare questa manifestazione è nata a seguito della richiesta di dissequestro degli impianti del siderurgico. Nell’ultima manifestazione in piazza della Vittoria, prima del Covid, dissi che il tirannosauro si stava accasciando, riferendomi al fatto che lo stabilimento stava, ormai, per concludere il suo ciclo produttivo, perché Arcelor Mittal se ne stava andando. Quindi, in un certo senso eravamo in una fase molto importante perché stavamo accompagnando un processo di vittoria nei confronti di una fabbrica che, come avevamo ben detto, non era sostenibile né da un punto di vista ambientale né da un punto di vista economico. Se non che quella scelta di Arcelor Mittal di andare via generò un conflitto molto forte fra la multinazionale e il governo italiano e da lì uscì una sorta di compromesso, per cui il governo entrava nella compagine societaria con propri fondi, togliendo così Arcelor Mittal dagli impacci economici».

Marescotti spiega, però, che se da una parte è vero che l’aspettativa di vedere la fine del ciclo produttivo della fabbrica è andata delusa per l’intervento del governo, dall’altra è anche vero che il “matrimonio” tra i due contraenti non è stato ancora celebrato: «Infatti, l’accordo “matrimoniale” tra Arcelor Mittal e lo Stato italiano ha alla base una sorta di patto che deve essere onorato e cioè che gli impianti debbano essere dissequestrati. È un matrimonio, dunque, che non è stato ancora celebrato.

Al momento c’è solo una “promessa di matrimonio”. Senza il dissequestro degli impianti il “matrimonio” non avviene e c’è solo un sorta di convivenza». Insomma, per i manifestanti, per dirla con il Manzoni, «questo matrimonio non s’ha da fare», perché - spiega ancora Marescotti - «l’idea di rilanciare il tutto si basa su un punto di appoggio fragilissimo, che è quello del dissequestro degli impianti. L’azienda chiede il dissequestro perché dice che questi sono stati messi a norma al 90 per cento. In realtà, a questo processo di messa a norma di cui parlano non è corrisposto un miglioramento della qualità dell’aria al quartiere Tamburi. Infatti, la Procura qualche giorno fa ha detto no al dissequestro degli impianti ed ora la parola passa alla Corte d’Assise». 

Le condanne


Le ragioni dei manifestanti trovano oggi ancora più forza nelle 4 condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel fatto che l’Organizzazione mondiale della sanità dica che, anche applicando il piano ambientale, vi sarà un eccesso di mortalità da qui ai prossimi 10 anni, nel fatto che l’Onu, includendo Taranto nelle “zone sacrificio”, abbia detto che «l’acciaieria Ilva di Taranto, in Italia, da decenni compromette la salute delle persone e viola i diritti umani scaricando enormi volumi di inquinamento atmosferico tossico. I residenti nelle vicinanze soffrono di livelli elevati di malattie respiratorie, malattie cardiache, cancro, disturbi neurologici debilitanti e mortalità prematura. Le attività di pulizia e bonifica che avrebbero dovuto iniziare nel 2012 sono state posticipate al 2023, con l’introduzione da parte del Governo di appositi decreti legislativi che consentono all’impianto di continuare a funzionare».   

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