Processo “Ambiente svenduto”, il pm in aula: «Vendola scelse Ilva perché chiudere non avrebbe dato vantaggi politici»

Processo “Ambiente svenduto”, il pm in aula: «Vendola scelse Ilva perché chiudere non avrebbe dato vantaggi politici»
di Mario DILIBERTO
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Martedì 16 Febbraio 2021, 11:14

«Il vantaggio politico» è stato il motore di quella che il pm Remo Epifani ha bollato come «la pesantissima intercessione in favore dell'Ilva da parte dell'ex governatore Nichi Vendola presso Arpa Puglia». Questa la lettura proposta dalla pubblica accusa ieri sera, nel corso della requisitoria al processo Ambiente Svenduto per spiegare la contestazione di concussione rivolta all'ex presidente pugliese. Alla settima udienza di requisitoria del processone che vede alla sbarra 47 imputati per il disastro ambientale di Taranto addebitato all'Ilva targata Riva, infatti, è scoccata l'ora della politica. Con in prima linea proprio Nichi Vendola, accusato di aver fatto pressioni sull'ex direttore di Arpa Puglia Giorgio Assennato, per spingerlo ad ammorbidire le sue posizioni verso la grande fabbrica e le sue emissioni inquinanti.


Una battaglia che il pm Epifani ha ricostruito in quasi tre ore di discussione, attraverso la rilettura di un dedalo di intercettazioni telefoniche e telematiche.

La vicenda ha un punto di inizio e uno di arrivo. Si parte il 21 giugno del 2010. Quel giorno Arpa Puglia trasmise una relazione che metteva l'accento sulle emissioni nocive di benzoapirene su Taranto, individuando come fonte le cokerie di Ilva. Il documento, firmato dal direttore scientifico dell'Arpa Massimo Blonda e dal professore Roberto Giua, andava anche oltre, auspicando interventi di ambientalizzazione sino a ipotizzare una riduzione di produzione per abbattere i livelli di quelle emissioni. Per il management Ilva quella relazione ebbe l'effetto di un pugno in piena faccia, anche perché andava a colpire quello che, secondo i pm, è sempre stato il principio che ha ispirato l'azione del gruppo Riva: ovvero fare di tutto per non limitare la produzione di acciaio. «Da quel momento - ha sostenuto in toni pacati ma fermissimi Epifani - l'industria, attraverso Girolamo Archinà (il responsabile dei rapporti istituzionali del siderurgico dell'epoca ndr.) si è rivolta alla politica». Il mirino dell'intervento del magistrato, quindi, si è posizionato sul ruolo svolto da Vendola in quei cruciali mesi dell'estate di undici anni fa. In sostanza, dinanzi alle carte che inchiodavano le cokerie, il governatore, secondo il pm, scelse di «non fare la guerra all'Ilva». E di lavorare per ammorbidire il direttore di Arpa Giorgio Assennato, mettendo in discussione il rinnovo del suo incarico al timone dell'agenzia regionale, oramai in scadenza.


Per sostenere la sua accusa Epifani ha proposto alla Corte di Assise, presieduta dal giudice Stefania D'Errico, a latere il giudice Fulvia Misserini, una puntigliosa rilettura delle intercettazioni catturate in quei giorni dagli investigatori della Finanza. «Dialoghi - ha spiegato - che dimostrano una veemente campagna contro Assennato». A fare da vettore della preoccupazione e della rabbia del gruppo industriale sarebbe stato proprio Girolamo Archinà, responsabile dei rapporti istituzionali dei Riva.


I dialoghi intercettati hanno fatto da bussola al magistrato. Epifani ha ricordato che lo stesso giorno della relazione, comunicata anche all'Ilva, Archinà contattò Assennato. E poi interessò la presidenza della Regione. Avrebbe avuto anche un incontro con Vendola, del quale successivamente informa i Riva, riferendo che il presidente «è imbestialito» e che gli avrebbe detto che così come è «l'Arpa può andare anche a casa». Archinà racconta anche di aver appreso che la politica della Regione non è quella di fare la guerra all'Ilva. Insomma, da quel momento, a causa della relazione su cokerie e benzapirene, sarebbe stato avviato un vero e proprio pressing su Assennato. Culminato prima in una telefonata dello stesso Vendola ad Archinà, in cui l'ex governatore rassicura «di non essersi defilato», e successivamente in una riunione, un mese dopo, durante la quale il professore sarebbe rimasto fuori dalla porta. Una «mortificazione» - ha detto il pm, mentre dal presidente sarebbe arrivato il monito a non usare i dati come «bombe di carta» che si trasformano in «bombe a mano». «Una campagna - ha spiegato il pm - profondamente sofferta dal professore Assennato anche se a noi non lo ha detto».


In chiusura, poi, il pm ha stigmatizzato il motivo per il quale Vendola avrebbe scelto la difesa dell'Ilva. «La chiusura o il ridimensionamento della fabbrica - ha detto - non piace alla politica perché non porta alcun vantaggio. Non portano bene». Oggi si torna di nuovo in aula.

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