Brandimarte: «Mi candido e non sarò un clone di Stefàno»

Brandimarte: «Mi candido e non sarò un clone di Stefàno»
di Michele MONTEMURRO
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Domenica 19 Marzo 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 17:36
«Mi candido a sindaco e se sarò eletto lo farò solo per cinque anni». L’ex presidente del Tribunale di sorveglianza di Taranto, Massimo Brandimarte, scioglie la riserva e annuncia ufficialmente la sua candidatura, su proposta del movimento civico Sds che fa riferimento al sindaco uscente Ippazio Stefàno. Il suo nome sarebbe ancora in “nomination” nel centrosinistra assieme a quelli di Rinaldo Melucci (indicato dal Pd che lo ha già annunciato), Pino Lessa (proposto dai Centristi per l’Europa) e Fabrizio Nardoni (suggerito da La Puglia in più).

Dottor Brandimarte, quando ha maturato l’idea di volersi candidare sindaco?

«Mai mi era stata fatta una proposta esplicita e quando questa è arrivata si è presentata sotto forma di richiesta di accettazione di un sacrificio. Una sola volta ho incontrato il gruppo dirigente di Sds e mi è stato chiesto: te la senti di accettare questo sacrificio per la città? Messa così, ho detto subito di sì. Quindi ho immediatamente rinunciato ad altre opportunità, come per esempio l’incarico di garante dei diritti dei detenuti della Regione Puglia. Non so quanto durerà l’ultimo segmento della mia esistenza, vorrei spenderlo bene per gli altri e non c’è ovviamente un interesse di carattere personale. Pensavo fosse gratuito l’incarico di sindaco, invece è prevista un’indennità molto bassa, forse la più bassa del mondo rispetto ai problemi e agli oneri che comporta, però ha una virtù: è l’unica al mondo che non è pensionabile».
 
Perché ha lasciato il certo per l’incerto rinunciando, da favorito, alla candidatura come garante regionale dei diritti dei detenuti?

«Perché suppongo dal tavolo del centrosinistra erano uscite informazioni che mi indicavano come un possibile candidato sindaco, quindi ho voluto sgomberare il campo dagli equivoci, seppur l’elezione era scontatissima». 

Perché scioglie la riserva nel tempo in cui ancora nel centrosinistra si sta cercando di trovare un candidato unitario?

«I tempi della politica purtroppo sono biblici, io invece sono del tempo reale. Alla fine tutto si è sovrapposto: la candidatura a Bari, che doveva essere definita a settembre, e la candidatura a Taranto. Ho preso atto che c’erano delle forze a Taranto interessate alla mia persona e ho deciso di accettare. Quando l’ho fatto ho richiesto una sola cosa: che la proposta di dominio pubblico. Devo riconoscere un merito al dottor Stefàno, che ho incontrato solo tre o quattro volte, che lui non ha mai dichiarato questa circostanza forse per rispetto nei miei confronti. Gli fa onore perché poteva trovare una sorta di giustificazione».

Si sente di rivolgere un appello ai candidati e ai partiti del centrosinistra?

«Un appello no, perché non voglio assumere atteggiamenti da maestro o predicatore. Dico solo che, chiunque sia il sindaco eletto, svolga questo lavoro come una missione. Ci vuole resistenza psicofisica notevole. Sino all’ultimo minuto ho chiesto ai miei collaboratori di spingersi al limite per un’intesa comune nell’interesse della città. Ho teso una mano, poi sono sopraggiunte motivazioni interne ai singoli partiti che non mi permetto di giudicare. Un augurio leale e sincero a coloro che si stanno proponendo».

Ci risulta che sta preparando una lista civica: da chi sarà composta?

«Sì, sarà una lista con persone selezionate, non sono nomi illustri, ma gente comune impegnata in tutti i campi della società. Non abbiamo bisogno di emblemi». 

Cosa pensa dei dieci anni di amministrazione Stefàno, considerato che anche i suoi stessi alleati talvolta ne hanno criticato l’azione?

«Non facendo parte della politica dico che un sindaco deve esserlo per una sola consiliatura, costi quel che costi. Impegno massimo ma in tempi il più breve possibile, perché chiunque perderebbe lo smalto, si stancherebbe anche per i compromessi, immagino, di carattere politico. I programmi non possono essere più ampi di cinque anni, come previsto dalla legge».

Quindi si candida per una sola consiliatura…

«Sì, se fossi eletto la mia prima dichiarazione sarebbe: meno 1.825 giorni all’alba».

Ritiene la sua corsa in salita essendo sostenuto per ora solo dal movimento del sindaco uscente, quindi da amministratori che, per percezione, non godono delle simpatie della maggioranza dei tarantini?

«Nessuno mi ha chiesto di dover realizzare programmi scritti da altri. Io ho il mio stile e la mia cassetta degli attrezzi. Io non sono il clone o non bado alla continuazione della politica di Stefàno, sono uno della politica del fare, quindi non chiedetemi cosa fare nei primi cento giorni. Il popolo giudicherà il suo operato, non io. Il sindaco si è contraddistinto per onestà, trasparenza e il desiderio di risanare: io da lui questi valori li prendo perché fanno parte del mio dna». 

Come immaginerebbe l’ “alba” dopo cinque anni di suo governo?

«La immagino avendo eliminato sprechi e privilegi e soddisfatto i bisogni della gente cominciando soprattutto dagli ultimi. Cito Pannella: Taranto che è città-speranza e non una città che va verso una speranza, non campagna elettorale ma rivoluzione ideale pacifica. Il Muraglione è l’emblema di una città divisa, schiacciata e a cui sembrano mancare le forze di risorgere, allora il mio motto è: orizzonti illimitati. Basta con il pessimismo, con la rassegnazione. Il mare è la risorsa centrale di questa città, non si esaurisce nel settore del porto, asservito ai servizi navali della grande industria. Mar Grande e Mar Piccolo devono essere recuperati alla città e all’economia. Se Taranto non avesse avuto Arsenale e Italsider vivrebbe come Amsterdam e Copenaghen: di commercio e turismo. La Città Vecchia va recuperata solo con un piano di modifica della viabilità, con più aperture di attività di ristorazione anche mediante un più pratico e razionale rilascio delle autorizzazioni per l’installazione di gazebo e servizi analoghi per i servizi del turismo. Vorrei realizzare un piano di riqualificazione delle facciate per i palazzi con incentivi, facendo leva sul senso di emulazione e non sulla repressione, stessa cosa per le reti pluviali altrimenti saremmo costretti sempre a camminare sui marciapiedi con le buste di plastica alle scarpe. Partirei col fermo della circolazione dal sabato sera alla domenica sera. Ferrara è la città delle biciclette, non so perché Taranto non lo può essere: in Città Vecchia le regalerei con le dovute precauzioni. Il territorio deve essere restituito al controllo, mettiamo anche gli ufficiali della Polizia locale per strada e se non sono disponibili ci vado io, e non è una provocazione».

Vuole emulare Cito su alcuni temi?

«Da Cito bisogna prendere il metodo che ha portato risultati positivi, come quello che ha impedito di parcheggiare le auto sui marciapiedi: unica città in Italia dove non si fa più così. Il metodo-Cito lo applicherei anche per la pulizia delle strade: studierei tutte le misure possibili affinché questo fenomeno non si ripeta».

Quale deve essere il rapporto tra la città e la grande industria?

«Il sequestro penale ha deresponsabilizzato i soggetti istituzionali, che devono recuperare il loro impegno, sedersi attorno a un tavolo e decidere quale deve essere il futuro industriale di Taranto: l’importante è che sia concertato e condiviso con tutti gli organi istituzionali e le rappresentanze del mondo del lavoro, dei cittadini, della sanità, ecc. Si può pensare anche ad una riconversione, ma si deve avere un piano, si sono persi cinque anni senza una visione di futuro. L’industria se ne può andare anche in dieci, venti anni, purché siano tutti d’accordo, ma le cose non possono rimanere come sono, Taranto deve essere sempre presente in tutte le decisioni industriali. Non si può pensare di aumentare la produzione senza consultarsi con gli enti preposti. L’industria deve essere anche solidale, parte del profitto deve essere destinata alle opere di risanamento, alla bonifica e alle attività sociali, culturali e sportive. L’industria deve partecipare alla soluzione delle sue problematiche. Se l’industria non vorrà fare questo, andremo a Roma». 
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