Torna a casa dopo 16 giorni di inferno, il sindaco che ha sconfitto il Covid: «Un male subdolo, salvo grazie ai medici»

Dimesso dal Moscati dopo sedici giorni di inferno. Il sindaco ringrazia i medici e racconta la sua esperienza: «Un male subdolo: sedici giorni d'inferno tra silenzi e incertezze»
Dimesso dal Moscati dopo sedici giorni di inferno. Il sindaco ringrazia i medici e racconta la sua esperienza: «Un male subdolo: sedici giorni d'inferno tra silenzi e incertezze»
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Mercoledì 28 Aprile 2021, 11:17 - Ultimo aggiornamento: 20:30

«Provo ad entrare in punta di piedi nelle stanze del dolore. Stanze fin troppo famigliari per ognuno di noi di questi tempi. Lo faccio reduce da sedici giorni di inferno, incertezze, silenzi e paura».

Così inizia la lettera del sindaco di Statte, Franco Andrioli. È la testimonianza di un uomo, prima ancora di un sindaco, appena dimesso dopo 16 giorni nel reparto Covid dell'ospedale Moscati di Taranto. Ha voluto raccontare cosa ha visto e cosa ha provato sulla sua pelle ringraziando i medici e non dimenticando cosa succede in quelle stanze.

La missiva 

 

«Non sono stato il caso peggiore entrato nel reparto infettivi dell’Ospedale Moscati di Statte, prima e dopo di me c’è chi ha combattuto battaglie durissime e ha vinto, ma c’è anche chi nonostante tutto ha perso. Accanto ad ognuno di noi, accanto ad ognuno di loro, c’è e ci sarà sempre però un esercito di “invisibili” che troppo frettolosamente abbiamo declassato dalla figura di “eroi” a quella di “colpevoli».

«Io li ho visti quegli occhi. Ho annusato l’odore che nel reparto aleggiava quando per qualcuno le speranze pian piano si riducevano.

Ho sentito tutto questo, ma non ho mai avvertito la resa, la rassegnazione. Lì dentro si combatte per un respiro in più, per quella fame d’aria da placare ogni giorno».

«Un male subdolo»

 

«Un male subdolo che ti colpisce alle spalle e che oggi isola i contagiati ma paradossalmente anche chi li cura».

Andrioli perciò ringrazia tutti i medici e manda un tributo «alle mani che mi hanno sollevato e pulito. A quelli che mi hanno consentito di mangiare. Agli infermieri che alle terapie accompagnavano sorrisi e piccole carezze. A chi discretamente vegliava su di me notte e giorno. A quei medici-coraggio, fino al primario Buccoliero, voglio dire Grazie. So che è poca cosa, ma io non li dimenticherò mai!»

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