Siderurgico di Taranto, tutti i nodi da sciogliere per la ripresa

I parchi minerali dell'ex Ilva coperti
I parchi minerali dell'ex Ilva coperti
di Domenico PALMIOTTI
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Domenica 27 Febbraio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 08:48

I nodi industriali e la cassa integrazione straordinaria. Le risorse che servono per lanciare la decarbonizzazione e la situazione finanziaria dell’impresa. La produzione di acciaio e le scadenze contrattuali di maggio. E poi la questione ambientale, con la richiesta - pressoché unanime - di un potenziamento delle misure di salvaguardia della salute e dell’ambiente, e l’indotto, dove la sofferenza delle imprese, per i mancati o ritardati pagamenti dell’ex Ilva di Taranto, non è certo finita.

Prova ne è che domani - su iniziativa di Fiom Cgil e Fim Cisl - si sciopera per 8 ore nell’azienda metalmeccanica Lacaita con presidio di protesta, dalle 7 alle 12, davanti alla direzione del siderurgico. Anche se sullo scenario nazionale premono ben altri complessi problemi come le ripercussioni del conflitto Russia-Ucraina, il caro bollette, il loro impatto sull’economia e sulla vita quotidiana dei cittadini, la gestione della fine dello stato di emergenza decretato per la pandemia, l’antico dossier Ilva è nuovamente sotto i riflettori. E non può non esserlo se consideriamo che, a dieci anni dal sequestro degli impianti di Taranto, una risposta globale e concreta ancora non c’è.

Il futuro dell’industria

Dopo averne sentito parlare tanto e dopo aver appreso solo di linee guida, il nuovo piano industriale di Acciaierie d’Italia dovrebbe finalmente uscire dal porto delle nebbie. Dovrebbe perché probabilmente già domani l’azienda formalizzerà, con una lettera ai sindacati, la richiesta di nuova cassa integrazione. Ma non è la solita proroga come in questi mesi. Stavolta, invece, si tratta di cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione della durata di 12 mesi, per 3.500 dipendenti in tutto il gruppo, ed é una richiesta vincolata al nuovo piano industriale. Quindi una discussione più complessa e articolata, che vedrà anche il coinvolgimento del Governo. È attesa la conferma di quanto è già stato delineato: ovvero 8 milioni di tonnellate di acciaio a regime nel 2025, di cui 2,5 milioni di tonnellate prodotte con un forno elettrico, occupazione, col piano a regime, dell’attuale personale di Acciaierie d’Italia, non di quello di Ilva in amministrazione straordinaria, un impianto di preridotto per alimentare il forno elettrico che farà capo ad una società già costituita da Invitalia, attualmente partner al 38 per cento, ma con diritti di voto al 50 per cento, di ArcelorMittal.

I sindacati attendono di vedere nel concreto struttura, tempi, sviluppo e risorse di questo piano.

Sono già preoccupati, però, dei numeri della cassa integrazione. Lo ha denunciato Rocco Palombella, numero 1 Uilm a Quotidiano: 3.500 cassintegrati di Acciaierie d’Italia (la massima parte sarà infatti su Taranto) e altri 1.500 di Ilva in amministrazione straordinaria, fanno un totale di 5.000. E sostenibile tutto questo per più anni?

La produzione

Oggi il siderurgico marcia con due altiforni, l’1 e il 2, ed una acciaieria, la 2. La produzione giornaliera di ghisa è attorno alle 9.500 tonnellate. Con la riaccensione dell’altoforno 4 da metà marzo (è stato fermo per lavori importanti circa due mesi), si salirà a tre altiforni operativi e si passerà a circa 15mila tonnellate di ghisa al giorno. In più dal 3 marzo viene rimessa in moto l’acciaieria 1, ferma anch’essa da due mesi, che si affiancherà alla 2, che però, per un intervento ad un carroponte, per un po’ di tempo viaggerà al di sotto delle sue potenzialità. L’azienda prefigura di chiudere l’anno a 6 milioni di tonnellate di acciaio. Raggiungerà l’obiettivo? Lo scetticismo non manca anche perché già altre volte sono stati delineati numeri che poi sono stati mancati. E l’andamento degli altiforni e delle acciaierie è sempre soggetto a variabili impiantistiche e manutentive al momento non prevedibili. 

I soldi

Come rivelato ieri dal Sole 24 Ore, Acciaierie d’Italia ha chiuso un’operazione con Morgan Stanley per la cessione di crediti commerciali per 1,5 miliardi ed una durata di 18 mesi. L’azienda è stata assistita da Mediobanca (dal punto di vista finanziario) e dallo studio Cleary Gottieb (per quello legale). L’ex Ilva cede crediti a terzi - evidentemente di problematica acquisizione diretta - per ricostruire la cassa aziendale, avere liquidità e fronteggiare sia gli investimenti che i maggiori costi di produzione calcolati in un miliardo. Ma la cassa aziendale è solo un aspetto del problema risorse. Il ministro Giancarlo Giorgetti (Mise) ha stimato per il nuovo piano industriale un fabbisogno di 4,7 miliardi di euro e su questo va fatta ancora chiarezza. Senza escludere, infine, che venuta meno, per decisione del Parlamento sull’articolo 21 del decreto Milleproroghe, la possibilità di finanziare parte della decarbonizzazione prelevando dal patrimonio destinato di Ilva in as 575 milioni riservati alle bonifiche, adesso bisognerà trovare nuove soluzioni.

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