Riva Fire contesta la vendita: «E' stato un esproprio»

Riva Fire contesta la vendita: «E' stato un esproprio»
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Sabato 6 Febbraio 2016, 07:19 - Ultimo aggiornamento: 7 Febbraio, 12:08
La società Riva Fire e gli eredi dell’ex patron dell’Ilva Emilio Riva, cioè i figli Claudio e Nicola e i nipoti Angelo e Cesare (figli di Adriano Riva) contestano la cessione di Ilva Spa, considerata un vero e proprio “esproprio”, e ricorrono al Tar del Lazio.
Il doppio ricorso punta all’annullamente «del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 4 gennaio scorso, non pubblicato e quindi di estremi e contenuto non conosciuti, di autorizzazione dell'esecuzione del programma di cessione dei complessi aziendali dell'Ilva Spa in a.s. e dell'avvio delle procedure per il trasferimento delle aziende che fanno capo alle società del gruppo Uva; del programma di cessione dei complessi aziendali dell'Ilva Spa in a.s. predisposto dai commissari straordinari, di estremi e contenuto non conosciuti; dell'invito a manifestare interesse in relazione all'operazione di trasferimento dei complessi aziendali facenti capo a Ilva Spa in amministrazione straordinaria e ad altre società del medesimo gruppo», a firma dei commissari straordinari dell'Ilva Spa in a.s. Piero Gnudi, Enrico Laghi e Corrado Carrubba».

Secondo i legali della famiglia Riva «i provvedimenti oggetto del presente giudizio conseguono alla sottoposizione dell'Ilva Spa e delle sue controllate alla procedura di amministrazione straordinaria, che la ricorrente ha contestato, gravando i relativi decreti ministeriali», nell'ambito del giudizio pendente dinanzi alla prima sezione del Tar con udienza di discussione fissata al 24 febbraio prossimo.
Il ricorso è stato presentato contro la presidenza del Consiglio, i ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo Economico nonché contro gli amministratori straordinari del Gruppo Ilva e la stessa Ilva Spa in amministrazione straordinaria.
Secondo quanto evidenziato nel ricorso, «l'Ilva, durante la gestione dei Riva, operava nei limiti per le emissioni atmosferiche stabilite dall'Aia rilasciata dal ministero dell'Ambiente» nel 2011. Al contrario, «i commissari nominati dal governo» non sarebbero riusciti a «dare attuazione» all'Aia «nei termini originariamente stabiliti» come «si pretendeva dai titolari dell'impresa ingiustamente privati della stessa anche in base alla necessità di attuare il piano ambientale».
Secondo quanto prospettato al tribunale amministrativo dai legali, l'Ilva sarebbe stata «gestita in perdita e privata di qualsiasi prospettiva industriale. Sin dal suo insediamento», è scritto ancora nel ricorso, «il commissario Gnudi ha mostrato di considerare la vendita dell'impresa l'unico possibile esito della procedura».

E ancora, «nel 2013 l'Ilva in gestione commissariale ha perso 2,4 miliardi di ricavi rispetto alla gestione proprietaria al 2011. Questa gestione «ha condotto all'insolvenza» l'impresa.
Il decreto impugnato, a parere dei legali di “Riva Fire” e degli eredi di Emilio Riva, è da ritenere «un provvedimento del tutto abnorme» e «viziato per eccesso di potere» e «illegittimo» per violazione della Costituzione, adottato in base ad un'istanza presentata non dal soggetto titolare dell'impresa e dei suoi beni, ma da un soggetto (i commissari straordinari, ndr) che rispetto all'impresa dispone solo di un potere di gestione specificamente finalizzato all'attuazione delle misure cosiddette di “ambientalizzazione”». I commissari straordinari, secondo la tesi dei legali del gruppo Riva, non avrebbero il «potere di vendere o affittare complessi aziendali dell'Ilva Spa «in quanto nessuna norma primaria attribuisce ai commissari straordinari il potere di compiere atti di disposizione dei complessi aziendali senza che sia stata dimostrata l'impossibilità di proseguire l'attività d'impresa».
In sostanza, ai Riva sarebbe stata “scippata” la gestione e la proprietà dell’azienda con atti che violerebbero le norme costituzionali. L. Cam.
 
 
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