La gaffe, di dimensioni notevoli, aveva fatto in poche ore il giro d’Italia, complice l’intervento sui social del martinese Donato Carrisi, premio David di Donatello, che postando la foto si chiede se per caso fosse uno scherzo. Non si fa attendere nemmeno il commento del segretario del Pd Maurizio Saiu che sempre sulla piattaforma blu condanna l’accaduto. Palazzo Ducale si scusa così: «Nelle locandine è stato richiamato l’art. 36 della Costituzione italiana, considerato di massima importanza per quanto concerne la disciplina del lavoro in Italia e la tutela dei diritti del lavoratore.
Si scusa per aver scelto di scrivere “Il lavoro rende liberi”, non volendo in alcun modo fare riferimento al motto, in lingua tedesca, posto all’ingresso del campo di concentramento nazista di Auschwitz durante la seconda guerra mondiale. I manifesti, in tutto una decina, sono stati rimossi». Tutto bene quel che finisce bene? Forse no, perché nonostante il maldestro tentativo di qualcuno che prova a difendere il fatto che la frase ha comunque un valore condivisibile, si sa che in termini di comunicazione la forma è contenuto e comunque bastava fare una verifica su Google, prima di dare il visto alla stampa. Un pasticcio ingiustificabile ma comprensibile per una struttura amministrativa che di fatto non ha nessun professionista della comunicazione e che costringe i tre membri dello staff di Franco Ancona (il quarto, giornalista, unico dipendente pubblico, è stato spostato senza preavviso all’Ufficio Patrimonio) ad occuparsi di tutto, anche di cose che non dovrebbero spettare loro.
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