Arriva a Taranto Giorgia Meloni: i sindacati chiedono risposte sull'ex Ilva

La premier sarà ospite di Bruno Vespa, domani sera - 8 giugno - a “Forum in masseria”

La veduta dell'ex Ilva
La veduta dell'ex Ilva
di Domenico PALMIOTTI
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 7 Giugno 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 15:03

La vicenda dell’ex Ilva di Taranto all’attenzione diretta di Giorgia Meloni. È la carta che vogliono giocare i sindacati Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm e Usb cogliendo l’occasione della presenza del premier domani sera a masseria “Li Reni”, tra Manduria e Avetrana, a “Forum in masseria”, il ciclo di incontri promossi da Bruno Vespa. L’edizione di quest’anno, ricca della presenza di molti ministri (Crosetto, Fitto, Schillaci, Salvini, Lollobrigida, Urso, Sangiuliano e Pichetto Fratin), sarà aperta proprio dall’intervista di Vespa a Meloni, che è già venuta a maggio del 2022 a “Forum in masseria” in qualità di leader di Fratelli d’Italia.

Il documento

L’obiettivo è un incontro a margine dell’evento per uno scambio informale e la consegna di un documento che è già stato redatto e che ieri è stato anticipato con una sintesi.

Per i sindacati, “la richiesta di proroga di alcune prescrizioni ambientali che non saranno ultimate entro il 23 agosto 2023 (data di scadenza dell’Aia in vigore), l’assenza di una mancanza di programmazione delle manutenzioni ordinarie e straordinarie, l’aumento inspiegabile dei lavoratori collocati in cassa integrazione, nonostante la ripartenza dell’altoforno 2, segnalano una chiara intenzione da parte di ArcelorMittal di non voler investire sul futuro del sito di Taranto”. I sindacati dicono che “la situazione di grave criticità che si vive all’interno della fabbrica, richiede un autorevole e tempestivo intervento da parte del Governo”. Insieme a Fim, Fiom, Uilm e Usb, ci saranno anche i rappresentanti del consiglio di fabbrica di Acciaierie d’Italia, di Ilva in amministrazione straordinaria e dell’appalto. Non dovrebbero esserci contestazioni e proteste perché l’obiettivo è l’approccio col premier, la consegna del documento e il suo diretto coinvolgimento. I sindacati partono dalle recentissime dichiarazioni del ministro Adolfo Urso per cercare di imprimere uno scatto alla questione. Ha detto infatti il ministro delle Imprese riferendosi a Mittal, socio di maggioranza col 62 per cento in AdI: “Agli azionisti abbiamo chiesto un piano industriale confacente alle ambizioni del nostro Paese e alla possibilità di realizzare a Taranto la più grande acciaieria green d’Europa. Trasformeremo anche questa che per 10 anni è stata considerata una grande crisi in una grande opportunità. Noi assumeremo le nostre decisioni nei prossimi giorni”. 

L'orientamento del Governo


È noto che l’orientamento del Governo è quello di utilizzare la possibilità offerta dal decreto legge sugli impianti strategici che permette all’azionista pubblico (Invitalia, che ha una quota del 38 per cento in AdI) di convertire in capitale i 680 milioni già erogati ad Acciaierie d’Italia. Un’operazione, questa, sinora collocata nella primavera del 2024 (entro maggio) ma che potrebbe essere anticipata in quest’anno soprattutto se da Mittal non dovessero arrivare i concreti segnali di rilancio che il Governo attende. 
I sindacati, nella loro nota, hanno riassunto alcuni dei principali punti della vicenda ex Ilva. Ma a questi se ne possono aggiungere degli altri, come, per esempio, lo scontro che qualche giorno fa ha opposto, sull’impianto del preridotto di ferro, la parte privata di AdI (e quindi l’ad Lucia Morselli) a Dri d’Italia (la società pubblica presieduta da Franco Bernabè che costruirà l’impianto con un miliardo del Pnrr). AdI chiede di essere coinvolta nel progetto del preridotto (che è passaggio fondamentale verso la decarbonizzazione della produzione e i forni elettrici), lamentando che questo non è avvenuto, e vuole soprattutto di potersi direttamente occupare dell’impianto. Dri d’Italia, invece, controbatte evidenziando come questa mission sia affidata dalla legge al soggetto pubblico e non ad altri e paventa per l’impianto “potenziali ricadute negative sulla sua attuazione” dall’eventuale protrarsi di questo scontro. Tra l’altro, Dri d’Italia si accinge a passare alla fase operativa perchè a luglio sceglierà la tecnologia dell’impianto e a settembre definirà il contratto con chi lo costruirà in modo che si possa avere nel 2026 la produzione di preridotto da caricare nei forni elettrici. 

La questione indotto


Oltre all’affaire preridotto, c’è poi l’eterna questione indotto. Ad aspetti noti, cioè l’80 per cento delle imprese che ha il personale in cassa integrazione e pagamenti che di nuovo sono tornati a rarefarsi, si somma il fatto che a giugno terminano i contratti che AdI ha sottoscritto con le aziende. Contratti che riguardano lavori e manutenzioni, riattivati a gennaio, dopo la sospensione di metà novembre, sino a giugno. Ora mancano poco più di 15 giorni alla fine del mese e sindacati e ambienti industriali dicono che nulla si sa del loro rinnovo. Avverrà? E come? 
In questo contesto è evidente che la crisi dell’azienda Lacaita è solo la punta dell’iceberg. I circa 70 addetti per ora sono in carico all’azienda essendo finita la cassa integrazione. Si attende il via libera degli organi della procedura (perché la Lacaita è in regime concordatario) per accedere ad un’ulteriore possibilità di cassa: quella per le aree di crisi industriale complessa. Un tipo di ammortizzatore sociale che dovrebbe coinvolgere anche il ministero del Lavoro. Intanto, i sindacati hanno sottoposto la crisi della Lacaita all’attenzione della task force Lavoro della Regione Puglia, mentre per un’altra crisi, quella della Gamit, anch’essa appaltatrice ex Ilva, ci sarà un incontro dopodomani nella sede di Taranto dell’Arpal per un nuovo ricorso alla cassa integrazione. Si passerà da quella ordinaria (già consumate 52 settimane e quindi terminata) a quella straordinaria per crisi (durata un anno). La Gamit, che ha 58 dipendenti, ha già attivato la procedura.  

© RIPRODUZIONE RISERVATA